MILANO - Riaprire le case chiuse? Sono
bastate poche parole, una frase appena, di Silvio Berlusconi per
spalancare una ferita ancora aperta, per risvegliare
un’indignazione mai sopita. Tuttavia, in questa bolgia di
abracadabra politici, in questo vortice di demagogie per tutte le
stagioni, è sempre più difficile incappare in un’analisi del
fenomeno-prostituzione che vada oltre certe categorie precotte.
Che non si limiti a riproporre il cliché della ragazzina sedotta
e abbandonata, della carne da macello dall’Est. E nel contempo
non scivoli in quella mistica del casino che è, a quanto pare,
l’unico modo che certa destra conosce per affrontare la
questione.
Un punto di vista originale, nuovo viene dall’America, e se ne
fa portavoce Wendy McElroy, in un libro, Le gambe della libertà
– Una difesa del diritto di prostituirsi, messo a
disposizione del pubblico italiano da un editore piccolo e
coraggioso, Leonardo Facco. La biografia della McElroy è un
romanzo d’appendice: scappa di casa giovanissima, a sedici anni
appena, per approdare sulle strade di New York. “C’è stato un
periodo della mia vita” racconta “in cui sono stata seriamente
tentata di fare la prostituta”.
Ma a questa teppistella di periferia non mancano doti che vadano
oltre l’avvenenza fisica: una grande curiosità intellettuale,
soprattutto. E’ per questo che viene adocchiata, e letteralmente
raccolta dalla strada, da un gruppo di studiosi e giornalisti e
romanzieri newyorkesi. Quelli che frequentavano il cenacolo di Ayn
Rand, scrittrice e filosofa, donna forte, fortissima, quasi
un’eroina romanzesca pure lei. E’ lì che Wendy trova la sua
imprevedibile strada come scrittrice, nelle interminabili
discussioni notturne a casa di Murray N. Rothbard, senz’altro il
più importante pensatore liberale del secolo scorso, infaticabile
scopritore e ‘balia’ di talenti sempre nuovi.
L’arsenale intellettuale della McElroy è, apertamente, quello
di un liberalismo non solo prossimo all’anarchia, ma proprio
anarchico, insofferente sì verso il totalitarismo spietato dei
nazisti e dei comunisti, ma pure verso quello mascherato,
invasellinato, rappresentato dalla ‘regola della maggioranza’,
dalla democrazia. Un background, insomma, un pochettino diverso da
quello della signora Merlin, regina della cronache di questi
giorni, che il 12 ottobre 1949, spiegando al Senato il perché
della sua legge, diceva: “La sfrenatezza della vita è un
sintomo di decadenza. Il proletariato è una classe che deve
progredire. Non gli occorre l'ebbrezza, né come stordimento né
come stimolo. Dominio di sé, autodisciplina, non è schiavitù,
nemmeno in amore! Signori, questo è l'insegnamento di Lenin ai
giovani del suo Paese, ma anche noi dovremmo accoglierlo perché
esso non contraddice i nostri credi!”.
Le parole della Merlin rivelano un collettivismo totalizzante, un
ragionar per classi che, per quanto travestito da moralismo da
operetta, annichilisce l’individuo, uomo o donna che sia, sotto
il peso di macigni concettuali. E’ una spiegazione del mondo
ambiziosa, che si promette di spiccare il volo sopra la realtà
insignificante del qui e dell’ora, che tritura come uno
schiacciasassi ogni guizzo individuale, ogni riferimento
evanescente alle ‘preferenze personali’.
I presupposti teorici della McElroy sono esattamente antitetici. E
come cozzano contro il proto-femminismo della Merlin, così fanno
a pugni con le tendenze femministe oggi più in voga. La McElroy
è feroce con Catherine MacKinnon e Andrea Dworkin, suffragette
postmoderne che leggono nell’atto sessuale una violenza
implicita, e scorgono nel pene in erezione la bandiera più vera
della prepotenza capitalista. Questo cocktail di corbellerie passa
sotto il nome di ‘femminismo di genere’ e, in un’inedita
alleanza con gli antifemministi di ieri (la destra più
conservatrice, e il mondo clericale), immagina un bando totale
contro la prostituzione e la pornografia: per la Dworkin sono
autentiche “aggressioni ai diritti civili delle donne”.
A rovesciare questo punto di vista ci aveva già pensato, qualche
anno fa, Nadine Strossen, presidente dell’American Civil
Liberties Union, in un libretto tradotto in Italia per
Castelvecchi, Difesa della pornografia. La Strossen, come
la McElroy, professa un femminismo diverso, ancora inedito qua da
noi. Un femminismo individualista, che accende i riflettori sulle
preferenze delle singole donne, che ringrazia la società borghese
per aver ammesso, alla mensa dei diritti e dei doveri, gli
individui di sesso femminile.
Dopo la dotta Strossen (che insegna diritto costituzionale alla
New York University), tocca alla McElroy costruire un pensiero su
quest’intuizione. La McElroy è autodidatta, quasi, ma
autodidatta di lusso. Ha pubblicato per editori importanti come
St.Martin’s Griffin e Prometheus. Ha scritto sul prestigioso National
Review come su Liberty, su Reason, sul Wall
Street Journal, su Penthouse. Adesso commenta fatti
di cronaca ed avvenimenti politici per FoxNews, uno dei
più grandi network giornalistici americani.
Ha firmato vari libri. Quello che ha fatto più discutere è XXX:
A woman’s right to pornography, secondo il New York Times
“uno dei lavori più iconoclasti ed originali dei nostri
tempi”. Questo nuovo saggio vede la luce, ed è un altro fatto
degno di nota, prima in Italia che negli Stati Uniti. Un regalo
dell’autrice agli amici italiani – amici come il curatore del
volume, Marco Faraci, studioso pisano che molto s’è occupato di
tematiche legate alla discriminazione sessuale. O come Roberta
Tatafiore, che firma una lunga ed appassionata prefazione al
libro, in cui racconta il suo tragitto da femminista canonica e di
sinistra (fra le animatrici del primo Manifesto), a femminista
individualista, o forse post-femminista tout-court. Una
testimonianza preziosa.
Come prezioso è tutto il libro della McElroy, politicamente
scorretto e sessualmente scorretto se vogliamo. “Non accetto che
si considerino le donne delle eterne minorenni”, scrive Wendy, e
mette alla berlina la realtà triste e vera che certo femminismo
approda “alla stesse conclusioni dell’odiato patriarcato”.
Cioè che le donne non possano essere ritenute soggetti adulti in
grado di prendere decisioni e debbano essere protette (“per il
loro bene”, s’intende) da se stesse e dalle proprie scelte.
Esiste quindi, ‘un diritto alla prostituzione, come esiste un
‘diritto alla pornografia’. Il corpo è mio e me lo gestisco
io? Per Wendy McElroy è ancora un precetto degno, forse non
perfetto, ma senz’altro il migliore in circolazione. L’unico
che si può mettere in pratica senza fare vittime, senza implorare
l’intervento della legge e il suo braccio violento. Il percorso
della McElroy approda a conclusioni analoghe a quelle di un
classico della pamphlettistica libertaria, Difendere
l’indifendibile di Walter Block (Liberilibri, secondo Aldo
Busi “un libro sensato per acutezza ed estremo per analisi dei
luoghi comuni intrinseci al Pensiero Perbene della maggioranza su
tabù e discriminazioni sociali”). Scriveva Block (1974): “In
che senso possiamo dire che tutti noi facciamo scambi e pagamenti
quando facciamo del sesso?
Come minimo dobbiamo offrire qualcosa ai nostri partner potenziali
perché acconsentano di fare del sesso con noi. (...) Tutti i
rapporti di scambio, sia che comprendano il sesso oppure no, sono
una forma di prostituzione. (...) La prostituzione andrebbe
considerata semplicemente come una delle tante interazioni a cui
partecipano tutti gli esseri umani”.
Che poi ci siano delle considerazioni estetiche, di moralità
personale, di fede religiosa che non ci rendono entusiasti alla
prospettiva che nostra figlia o nostra madre si prostituiscano, è
un altro paio di maniche. Il punto, sostengono la McElroy e Block,
è che si tratta di rapporti volontari fra adulti consenzienti. Di
un intimo privato che il Potere non deve azzardarsi a sfiorare.
E lo sfruttamento della prostituzione? Secondo Wendy McElroy, che
ha speso alcuni anni girando per l’America alla ricerca delle
confessioni e delle storie delle prostitute, è una realtà
marginale, almeno negli USA. Che fiorisce, però, proprio in
quelle realtà dove al marchio morale per la prostituta
s’aggiunge la sanzione legale. Insomma. Riaprirle o no le case
chiuse? Per le voci sincere e potenti del femminismo
individualista, la risposta è senz’altro no. Lo Stato pappone
non è un’opzione eticamente accettabile. Neppure, però, i
vincoli legali posti alla proliferazione di quartieri e strade a
luci rosse, di un’industria della scopata alla luce del sole. Il
sesso quindi come libera impresa.
Wendy McElroy, Le gambe della
libertà – Una difesa del diritto di prostituirsi, Leonardo
Facco Editore, Treviglio (Bg), 2001, pp. 108, Euro 7,74.
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