Le virtù
della libertà
di Michael Novak
La storia economica della Russia dal 1991 ad oggi dimostra chiaramente come il
successo del capitalismo si poggi su quella che potremmo definire “ecologia
morale”. Trascurando però questa relazione fondamentale tra etica ed
economia, molti consulenti occidentali volarono in Russia con le loro
ventiquattrore in mano, piene di consigli dettagliati sulle tecniche economiche
da impiegare. Non prestarono la minima attenzione alle precondizioni morali e
culturali necessarie ad un’economia di successo, come il rispetto per la legge
e lo sviluppo di consuetudini etiche elementari. Sul piano strategico,
sottovalutarono la perdita immensa di capitale umano che si era avuta nel regime
precedente, che per più di settant’anni aveva ingaggiato una guerra senza
quartiere all’etica borghese. Questo tipo di fondamentali etico-culturali non
possono essere trascurati senza soffocare nella culla sia il capitalismo che la
democrazia. Questa osservazione può forse essere formalizzata in un principio
quasi ovvio: una infrastruttura moralculturale è essenziale in un sistema
economico. A giudicare dall’ampia evidenza empirica che ci viene offerta da
quello che accade in giro per il mondo, credo che tutti possano essere
d’accordo nell’indicare il governo della legge come uno dei requisiti di una
economia sana e in salute. Ma cosa significa concretamente “il governo della
legge”? Hayek ha dato una descrizione di quello che dovrebbe essere: “Il
governo della legge significa che il governo in tutte le sue azioni è limitato
da regole fisse e annunciate preventivamente - regole che rendono possibile
prevedere con certezza come l’autorità userà i suoi poteri di coercizione in
date circostanze e pianificare i propri affari individuali sulla base di questa
conoscenza”. Ma c’è qualcosa di più profondo di regole stabilite da entità
politiche. Nel nostro tempo, abbiamo visto regole orribili - regole assassine -
prodotte da organi politici nazisti, sovietici e cambogiani. Come i filosofi
ateniesi e poi quelli del Medioevo hanno a lungo sostenuto mettendo in
comparazione regimi diversi, c’è, nelle parole di John Finnis, “la
questione ulteriore di fare quel che si può perché lo stato sia governato
dalla ragione”. Questo deve avvenire attraverso la legge che è il frutto
della ragione (e non attraverso uomini che agiscano secondo arbitrio e seguendo
le loro passioni). In questo senso, “il governo della legge” è ragione
messa in atto. Ma in che modo? E cosa è la ragione?
L’ARCIPELAGO SENZALEGGE
Immaginiamo un arcipelago che non ha mai conosciuto, o conosciuto solo a
malapena, il governo della legge. Quello che le persone conoscono sono invece
“comandi”. I comandi sono inevitabili in ogni gruppo sociale, da uno piccolo
come la famiglia a uno grande come la nazione, perché nella vita associativa
devono essere prese decisioni cruciali e immediate. Finché metodi decisionali
più sofisticati ed efficienti non sono stati elaborati, è probabile che
prevalgano i comandi di una singola persona. Possiamo chiamare questo arcipelago
“Senzalegge”. Questo territorio è stato dominato per secoli da dittatori,
uomini forti che governano mediante il capriccio, la volontà e la frusta. I
caudilli ottengono quello che desiderano con un comando. Naturalmente, anche
l’Arcipelago Senzalegge non può essere guidato unicamente da ordini. Perfino
l’esecuzione di una mera volontà dei dittatori richiede per la sua corretta e
regolare applicazione un insieme di regole. Ma sull’Arcipelago Senzalegge
anche queste regole sono basate su un singolo, perché in passato sono spesso
cambiate a seconda di chi deteneva il potere o anche di tanto in tanto sotto lo
stesso dittatore. La loro fonte non è la ragione, o qualche vincolante
motivazione che tutti riconoscono e fondata su basi oggettive, ma la volontà.
Prendiamo per esempio le regole che proteggono la proprietà privata.
Nell’Arcipelago Senzalegge non ci sono precedenti di diritti di proprietà
certi. Se tu possiedi una tua proprietà, lo devi al volere di un uomo forte, e
può esserti tolta così facilmente come ti era stata concessa, da lui stesso o
da un suo rivale o dal suo successore. Alcune famiglie sono riuscite a mantenere
i loro possedimenti per diverse generazioni, ma sono ben consapevoli che il loro
titolo ai beni di cui sono proprietari è storicamente ambiguo e incerto in
prospettiva. Quasi nessun bene è rimasto nelle mani della stessa famiglia
ininterrottamente per un secolo e quelle poche famiglie che costituiscono
l’eccezione sanno che la loro “legittima” pretesa sulla proprietà è
argomento meno pregnante della loro abilità di proteggere se stessi contro gli
uomini forti del loro tempo. La riflessione seguita all’osservazione del
comportamento umano e delle sofferenze a cui hanno condotto i diversi regimi,
hanno spinto i difensori della libertà a volgere dalla volontà
all’intelletto come l’ancora delle loro speranze. La logica dietro questa
mossa è espressa dalla frase “la verità rende liberi”. La verità è
l’oggetto che l’intelletto persegue, e perciò l’intelletto sembra essere
una via migliore alla libertà della semplice volontà. Ma è esattamente così
?
L’ISOLA RAZIONALE
C’era una volta un regime di Ragione Pura, stabilitosi in una isola lontana
nei mari nordici. La gente dell’isola ricorda un solo omicidio commesso da
quelle parti, nel 1903 da uno straniero in visita. Gli abitanti affermano con
convinzione di amare e rispettare il loro famoso Codice Civile Geometrico,
chiamato così perché il suo sistema legale si regge su proposizioni chiare e
distinte che derivano da assiomi, al pari del sistema euclideo. Il nome del
posto è Isola Razionale, e i suoi abitanti sono fieri di essere chiamati
razionalisti. Essi tentano di apparire modesti mentre riferiscono ai visitatori
di sforzarsi il più possibile a pensare e vivere con rigore logico. Per esempio
confessano di non riuscirci a volte. Altre volte ancora commettono qualche
errore d’osservazione e questo impedisce loro un ragionamento corretto. Di
tanto in tanto incorrono in qualche scivolone logico, che i più brillanti tra
loro sono contenti di far notare ai colpevoli. L’aborto è da loro visto come
una violazione del Primo Principio, secondo il quale uno non può mai togliere
la vita ad un altro essere umano. La logica ha infatti convinto tutti
sull’Isola Razionale che il bambino non nato ha un suo codice genetico
individuale e non può essere considerato una mera parte del corpo della madre.
E’ quindi un individuo a tutti gli effetti. Non c’è alcun dubbio in
proposito. In base alla legge, i razionalisti non puniscono la madre come
un’assassina e accusano del crimine chi commette materialmente l’aborto. I
più rigorosi tra loro fanno rilevare che la legge ritiene responsabili le madri
qualora queste assumano sostanze stupefacenti o alcool mentre sono incinte e
fanno quindi notare che non trattare allo stesso modo le madri che abortiscono
è incoerente. L’incoerenza è un serio motivo di sconforto per alcuni
razionalisti.
Un altro esempio di come è applicata la legge sull’Isola Razionale è quello
dei bambini nati morti, ai quali non è garantita una cerimonia funebre,
contrariamente a quanto suggerirebbe la logica, secondo la quale essi sono
individui come gli altri. I razionalisti citano questi esempi, conversando con i
visitatori, per concludere che “c’è ancora qualche miglioramento da
effettuare nel loro sistema” e che esso non è ancora sulla strada della
perfezione. La maggioranza pensa che i bambini nati morti dovrebbero avere un
funerale normale. Soltanto le consuetudini ormai sedimentatesi impediscono che
ciò accada. Ma forse accadrà in futuro. I razionalisti non prendono mai in
seria considerazione l’idea che il progresso sia arrivato al capolinea. Nei
loro occhi è molto importante sostenere l’ideale di un progresso ulteriore.
Traggono piacere nel periodizzare la loro storia in base agli errori di
osservazione o di ragionamento dei quali accusano i loro avi. I razionalisti di
oggi si dichiarano orgogliosamente più razionali delle generazioni precedenti.
Una cosa che il visitatore dell’Isola Razionale non può non notare è il
temperamento calmo e giudizioso che incontra dappertutto, anche nei teenager
dell’isola. Ognuno parla con voce misurata e spesso secondo lo schema retorico
“da una parte... dall’altra parte”. Questa espressione è così spesso
impiegata che i razionalisti la descrivono come “l’approccio bipartito alla
vita”. Le taverne di Razionalia, la principale città dell’isola, sono posti
catatterizzati da conversazione e dibattito, non da balli e rumore. Anch’io,
devo ammettere, preferisco posti silenziosi ma, aggiungo, dopo le due settimane
trascorse sull’Isola Razionale, non ho potuto trattenere la gioia
nell’entrare in un bar vero sulla nave del ritorno. Mi hanno lasciato a
disagio un paio di altre cose relative al mio soggiorno sull’Isola Razionale.
A volte ascoltando un razionalista usare la sua logica rigorosa nel suo solito
calmo eloquio, ero tentato di intromettermi e dirgli che il trucco vero in
un’analisi etica non sta nella logica, ma nel dare adeguata rilevanza a due
princìpi generali. Il primo è che ogni agente etico è unico e diverso da
tutti gli altri. Il secondo è che ogni insieme di circostanze concrete è unico
in qualche aspetto di rilievo. Mentre da questo non discende che io creda in
“un’etica contingente”, ho imparato da Aristotele (e più ancora
dall’esperienza) che questi due vincoli mettono in crisi la logica quando si
discute di etica. La logica richiede identicità e uniformità, ma non c’è
alcun essere umano che sia identico ad un altro. Essa è una guida necessaria ma
non sufficiente. E’ una guida necessaria perché esistono princìpi
universali, sui quali si deve basare una società di persone con mutui doveri e
aspettative. Infatti, dobbiamo essere in grado di contare su questi mutui doveri
ed aspettative velocemente e automaticamente. Ma non basta. La seconda ragione
per cui la logica non è una guida sufficiente del comportamento umano è la
nostra fragilità. E’ un fatto empirico che nessuno di noi agisca sempre in
maniera razionale. Prendendo in prestito il linguaggio del Federalista, “se
gli uomini fossero angeli, il governo non sarebbe necessario”. Tutti gli
uomini peccano a volte contro ragione. L’Isola Razionale aveva un’aria di
noiosa uniformità, del tipo prodotto da un modo di pensare logico invariante.
Quando ero lì mi sentivo a volte privo del puro ossigeno dell’individualità
e della personalità unica e irripetibile, per non dire dei colori lucenti delle
diverse circostanze. Anelavo la concretezza, l’idiosincrasia e la casualità
delle vecchie città degli altri continenti, in cui le vie sono state via via
aggiunte senza alcuna logica precisa.
PHRONESIS, IL CONTINENTE DELLA RAGIONEVOLEZZA
A ovest dell’Isola Razionale si staglia la lunga e curvilinea costa del
Continente della Ragionevolezza, chiamato nell’originario greco Phronesis.
Nessuno ha pianificato la sua colonizzazione e il suo sviluppo. Fin
dall’inizio gli abitanti di Phronesis desideravano con ardore la libertà e la
ragione, ma senza sapere come disegnare le loro istituzioni perché questi due
beni diventassero routine. Tentarono quindi di procedere by trial and error.
Amavano la logica e la matematica ma ancora di più la verità. Capivano che
esistono una verità logica e anche una verità matematica ma non solo quelle.
Una delle loro più grandi menti scrisse, molto tempo addietro, che la prima
saggezza è sapere, in ogni investigazione, quale genere di verità aspettarsi.
Tutte le investigazioni puntano a stabilire qualche verità ma non tutte
arrivano ad una verità dello stesso tipo e nello stesso modo. In alcune, uno
arriva alla verità senza un alto grado di certezza ma, ciononostante, con
diversi vantaggi evidenti: per esempio, una probabilità molto più alta di
successo nell’intraprendere un’azione e nel prevederne le probabili
conseguenze. Gli antichi nel Continente della Ragionevolezza chiamavano questa
forma di investigazione per via delle probabilità phronesis, da cui discende il
vecchio nome del continente. Chi viaggiasse attraverso il Continente della
Ragionevolezza incontrerebbe molti esempi di phronesis in azione, e
incomincerebbe a notarne il profondo contrasto con la logica ferrea incontrata
sull’Isola Razionale. Sembrava quasi che gli abitanti dell’Isola Razionale
avessero menti geometriche, argomentando secondo i canoni della logica euclidea
a partire da assiomi e princìpi primi. Affrontavano le più delicate questioni
etiche con una logica del tipo 2 x 2 = 4. Invece i cittadini di Phronesis erano
molto più abili nel seguire il sentiero sinuoso che la ragione traccia
attraverso l’intreccio di alberi e circostanze, attraverso realtà dalle
molteplici sfumature e personalità complesse a vari stadi di sviluppo morale.
Se il viaggiatore accusa i phronesiaci di essere degli emotivi, questi si
arrabbiano. “Niente affatto” risponderebbero, aggiungendo che “la ragione
opera nell’etica come in ogni altro campo. Ma qui i modi sono molto più
sottili, delicati e difficili da decifrare per i neofiti. In questo campo, un
essere umano ha bisogno di pratica, scaltrezza, educazione, capacità di
osservazione e abilità nell’interpretare segnali sottili”.
Infatti, uno dei più grandi filosofi di Phronesis, Charles Sanders Pierce, ha
formalizzato questo modo di pensare in quella che ha chiamato “la terza
logica” o “la logica additiva”, da aggiungere alla logica deduttiva e a
quella induttiva. La deduzione opera da princìpi generali a applicazioni
particolari. È la logica dell’Isola Razionale. L’induzione opera in
direzione opposta, partendo da molti particolari per arrivare ad un principio
generale. Anche questo tipo di logica viene tenuto in particolare riguardo
sull’Isola Razionale. La logica additiva si sofferma su un fatto anomalo o
sorprendente per arrivare ad una narrazione nella quale quel fatto intrattiene
una relazione plausibile con altri fatti umani, cosicché l’intero schema
assume un suo significato ed è confermato da altre narrazioni. Un attento
osservatore di un certo fenomeno è capace di decifrare così tanti dettagli
minuti e respingere così tante spiegazioni da lasciare di sale un osservatore
non allenato. L’esperto troverà più semplice fare riferimento al suo sesto
senso o al suo istinto per giustificare la sua superiore capacità di
osservazione ma il principiante non deve farsi ingannare. Quando una donna o un
uomo ripete performance di questo tipo con ostinata costanza, gli si devono
concedere maggiori capacità di ragionamento, anche se di un altro tipo rispetto
a quelle viste con favore nelle scuole, cioè deduzione e induzione.
Nella letteratura europea, lo Sherlock Holmes di Conan Doyle o il padre Brown di
Chesterton sono tra i massimi esempi di questa terza forma di logica, mentre in
quella americana essa si trova a piene mani nei romanzi di James Fenimore Cooper,
in Edgar Allan Poe e naturalmente in una moltitudine di romanzi gialli e
d’azione. I cosiddetti filosofi del “buon senso” scozzesi, come Thomas
Reid e Adam Ferguson, svilupparono un’alternativa salda al razionalismo
logico. Friedrich von Hayek dà una descrizione della conoscenza pratica basata
su un metodo evolutivo, spesso informale (come quello degli escursionisti su una
montagna che, senza che ci sia alcuna disposizione preordinata, utilizzano un
sentiero comune per salire in vetta). Risalendo all’antichità, Roma, con il
suo genio per la legge e l’amministrazione, potrebbe forse aver avuto una
maggiore influenza sul Continente della Ragionevolezza di quanto ne abbiano
avuto Atene e Gerusalemme, contrariamente a quanto molti pensano. Il viaggiatore
a Phronesis nota sopra tutto il resto il dinamismo pratico della sua poderosa
civiltà. Cosa spiega questo dinamismo? Non solo la ragione pratica.
LE INVASIONI BIBLICHE
Il continente di Phronesis fu invaso proprio all’apice della sua gloria,
l’età di Augusto, celebrata da Virgilio e Orazio. Quest’invasione non
provenne da eserciti ma da nuovi modi di guardare alla realtà, in breve,
dall’importazione della “metafisica ebraica” nella versione proposta da un
oscuro profeta ai confini dell’impero, in Giudea. Questo profeta sosteneva di
essere Dio e i suoi seguaci ritenevano che, dopo la sua crocefissione, fosse
risorto e asceso verso il luogo dove Dio regna e giudica. Gli elementi che più
colpiscono di questa nuova versione di guardare alla realtà sono tre. Tutti e
tre devono essere studiati dal punto di vista della ragione, non della fede, dal
momento che hanno plasmato l’orizzonte entro il quale si muovono non solo i
credenti ma anche agnostici e atei. Il primo principio della nuova Weltanschaung
è che tutto sia creato intelligentemente, fino al più piccolo dettaglio, e per
il bene degli esseri umani. Come ha sostenuto Alfred North Whitehead, queste due
asserzioni sono di enorme importanza per l’evoluzione successiva della scienza
e dell’idea di progresso. Se ogni cosa è intellegibile al suo creatore, tutto
in principio è intellegibile all’investigazione dell’uomo. Se tutto è
creato per il bene dell’uomo, le investigazioni di questo conducono
potenzialmente ad un progresso (o se mal dirette al declino). La metafisica
ebraica colloca sia l’idea di verità che quella di bene (e male) al centro
del creato e rende entrambe le proprietà indipendenti dalla volontà umana. Sta
agli uomini e alla loro capacità di giudizio non scivolare fuori dalla verità
e dal bene.
Il secondo modo in cui la metafisica di matrice ebraica ha cambiato
l’orizzonte intellettuale di Atene e Roma è stato suggerendo che ogni singola
persona umana è fatta a immagine del Creatore ed è invitata ad esserne amica e
a partecipare alla sua vita interiore. Il che vuol dire che ogni persona, uomo o
donna, libero o schiavo, povero orfano o figlio dell’imperatore, è nata con
una dignità inalienabile. Il terzo principio di enorme importanza per la storia
successiva del Continente della Ragionevolezza è la visione della persona
umana, nella sua dignità, nella libertà e nell’eguaglianza di tutti agli
occhi di Dio. L’eguaglianza non coincide qui con uniformità ma anzi va vista
come una conferma della unicità di ciascun essere umano. Ogni persona è
innanzi al Creatore un individuo con un nome proprio. Secondo la metafisica
ebraica, il Signore è paziente e insegna agli esseri umani lungo un percorso
storico lastricato di tentativi ed errori. Non si presenta tutto ad un tratto,
illuminando ogni cosa con l’irresistibile chiarezza di una piena e
irrefutabile evidenza. Il Creatore ha adattato i suoi metodi, lungo la storia,
al modo in cui funziona la mente umana, nel capire poco per volta eventi
contingenti e particolari. In questo senso, la prospettiva evolutiva di Hayek,
per quanto essa fosse di derivazione totalmente laica, riflette da vicino il
modello del profeta che ha portato la metafisica ebraica nel Continente di
Phronesis.
L’invasione biblica del Continente di Phronesis ha dato a quella terra uno
standard per giudicare su basi ferme il progresso e il declino, il bene e il
male, la verità e la falsità. Ha sedimentato la convinzione, anche tra coloro
che non accettano quella biblica, che ci sia una sola verità e che il sentiero
per trovarla può essere individuato. Quel sentiero può essere difficile da
salire ma incamminarsi verso la vetta non è tentativo velleitario. Se gli
uomini sono in qualche modo vincolati a cercare l’evidenza e a rispettarla,
allora ne discende che sono anche portati a rispettarsi l’uno con l’altro
come creature razionali persuase da argomentazioni che si fondano
sull’evidenza, anziché sulla coercizione. Nel Continente della
Ragionevolezza, fede e ragione hanno lavorato in tandem all’affermazione della
libertà di spirito. Per respirare a pieni polmoni, la causa relativamente
fragile della libertà ha infatti bisogno di essere sostenuta sia dagli alfieri
della fede che da quelli della ragione. Quando quell’alleanza si è spezzata
nel corso delle storia, gli spazi per la libertà hanno finito per comprimersi.
LE VIRTU’ DELLA LIBERTA’
Nell’età classica del Continente di Phronesis, Aristotele fissò le quattro
virtù cardinali sulle quali attecchisce il seme della libertà: il coraggio di
affrontare la verità; la temperanza con cui si considera l’evidenza; la
giustizia con la quale si dà a ciascuno, e ad ogni cosa, secondo quanto merita;
infine, la ragionevolezza (phronesis, appunto), l’arte pratica di giudicare la
realtà appropriatamente. A queste virtù, i pensatori cristiani ne aggiunsero:
fede, speranza e carità. L’ultima ha aggiunto un elemento di compassione e
cortesia, trasformando il guerriero greco in cavaliere cristiano. La speranza ha
introdotto la dimensione della forza d’animo, anche in quelle circostanze in
cui tutto sembra perduto, nella convinzione che alla fine la libertà e la verità
la spunteranno. Nella nostra generazione, abbiamo visto come questa virtù non
smise di operare neanche nei campi di concentramento o nei gulag. Le persone di
speranza non si arresero. La fede ci conferisce l’abilità di vedere la dignità
umana anche dove non ci aspetteremmo essa alberghi e di agire nel giusto anche
laddove l’azione non sembra un’opzione possibile. Quando Solgenitsyn disse
nel 1974, nelle profondità più oscure della Guerra Fredda, che “una parola
di verità” è più potente di tutte le armi nel mondo, quella era
l’espressione di un’azione mossa appunto dalla speranza e dalla fede, quella
di vedere ciò che ad occhio nudo non era possibile allora vedere. Non era un
falso vedere. Nel 1989, nel momento in cui gioiosamente crollò il muro di
Berlino e le statue di Lenin furono abbattute, abbiamo potuto constatare che
speranza e fede non furono spese invano.
(traduzione dall’inglese di Stefano da Empoli)
8 maggio 2001
(da Ideazione 2-2001, marzo-aprile)