UN’ISOLA DI PACE CHIAMATA URSS
A leggere i manuali di storia e soprattutto quelli di relazioni internazionali, colpisce quanto tutti i saggisti portino rispetto per l’Unione Sovietica: grande potenza, strumento di equilibrio, in cerca di una pace stabile e apparentemente sempre pronta a collaborare con gli Occidentali in caso di pericoli veramente seri. La maggior parte dei testi (a parte “quel paranoico di Luttwak” e pochi altri) spiega in modo rassicurante agli studenti che i Sovietici non avrebbero mai e poi mai pensato di aggredire il Mondo Libero, che mai e poi mai avrebbero avuto l’intenzione di usare armi nucleari se non come inevitabile rappresaglia di un attacco nucleare americano. Infine gran parte dell’opinione pubblica europea (italiana e francese in particolar modo) soprattutto negli ultimi tre decenni di Guerra Fredda, si considerava al riparo da qualsiasi attacco sovietico e si lasciava andare a votare movimenti e partiti amici o anche alleati dell’URSS, concentrando i propri sforzi nel combattere vere o presunte ingiustizie nel proprio Paese. Gli anticomunisti americani, la base di voto di Reagan, è sempre stata vista come il prodotto della rozzezza e dell’ignoranza americana. In Europa la paura di una guerra nucleare non era una paura nei confronti dell’URSS, ma della guerra nucleare in sé e tutta la paranoia di una guerra atomica veniva convogliata e razionalizzata in un odio strumentale contro gli arsenali atomici americani in Europa. Il famoso film “The day after”, intriso fino all’osso di melassa liberal americana, fa vedere chiaramente come le atomiche sovietiche che devastano gli Stati Uniti siano partite in risposta a un attacco americano. Molta opinione pubblica, anche non di sinistra, non aveva paura dell’URSS perché “tecnologicamente arretrata” e pronta a collassare da un giorno all’altro. Molti studiosi, soprattutto libertari, parlavano di un’eventuale guerra contro l’URSS nei termini di una campagna dell’Impero Britannico contro un antico impero africano. Rothbard stesso vedeva la presenza di truppe americane in Europa come un atto di imperialismo: nei testi dell’economista libertario non si nota (contrariamente alla sua maestra di pensiero Ayn Rand) alcun senso di pericolo a Est della cortina di ferro, ma solo un sentimento di tenera comprensione verso i suoi conterranei ruteni e polacchi sottomessi al regime comunista. Tuttora gran parte delle critiche libertarie all’URSS si limitano a condannare moralmente il regime: i libertari hanno ben compreso la dimensione interna dell’URSS, ma si sono mobilitati pubblicamente solo per condannare interventi occidentali contro l’URSS e i suoi alleati e tuttora continuano a mobilitarsi solo contro tutti gli interventi occidentali contro regimi tirannici ex alleati dell’URSS. Fortunatamente per noi non tutti i libertari erano così ingenui da vedere negli USA l’unico vero pericolo mondiale: oltre alla già citata Ayn Rand, anche David Friedman proponeva, pur in un’ottica non-interventista, una complessa politica difensiva fondata sul riarmo dei Paesi europei da effettuarsi gradualmente senza mai abbassare la guardia. Certo resta da chiedersi, gli Europei avrebbero accettato la sfida del riarmo, anche nucleare?
Dopo la famosa “caduta del muro”, si sono aperte
le tombe e i morti si son levati: 25.000 documenti riguardanti i piani
strategici del Patto di Varsavia. La prima cosa che colpisce è l’accettazione
dell’uso indiscriminato di armi nucleari tattiche e di teatro per preparare la
prima ondata di assalto. I nostri sinistrorsi che nell’81 hanno manifestato
contro gli euromissili di Reagan e i vari libertari pronti a condannare
qualsiasi intervento americano e a chiedere un disarmo nucleare unilaterale
devono sapere che il nemico ragionava in questi termini: “La guerra futura
dovrà essere condotta senza compromessi, fino al completamento annientamento
dell’avversario. Ciò impone di prendere in considerazione l’intero arsenale
di mezzi di distruzione, compresa l’escalation incontrollata di armi nucleari
strategiche” (maresciallo Kulikov, capo di Stato Maggiore sovietico, 1983).
Mentre nelle esercitazioni della NATO, l’uso di armi nucleari era considerata
l’ultima risorsa del difensore e il momento del loro utilizzo segnava la fine
dell’esercitazione, nelle esercitazioni campali nemiche l’uso delle armi
nucleari era sempre all’inizio della battaglia, allo scopo di ottenere lo
sfondamento rapido delle linee NATO. Solo il fronte tedesco, quello dove i
Sovietici avevano concentrato il grosso delle forze, era dotato di ben 840
testate nucleari in prima linea: 250 missili SCUD, 380 FROG, 255 bombe nucleari
da aereo. Tutte armi disponibili a livello di armata e utilizzabili in qualsiasi
momento, in seguito a un semplice ordine impartito dal comandante sul campo. Gli
obiettivi erano: depositi nucleari, installazioni della difesa aerea, sedi di
comandi tattici, impianti di telecomunicazioni, truppe in posizione di riserva
(anche nelle città!), comandi della marina militare. Inutile soffermarsi sulle
spiegazioni di quali conseguenze avrebbe comportato il lancio di quasi mille
testate nucleari su un area ristretta dell’Europa centrale: basti pensare che
il famoso incidente di Chernobil ha sprigionato meno energia atomica di una sola
delle 840 testate sovietiche. Ciò a prescindere dall’efficacia delle
successive mosse offensive sovietiche, alla faccia dei sostenitori della teoria
dell’inferiorità tecnologica, economica e militare sovietica! Che senso ha
parlare dell’inferiorità morale, o economica, o tecnologica, o anche militare
di un Paese, nel momento in cui 840 testate nucleari ci arrivano sulla testa? Ha
senso tanto quanto sostenere che chi ci sta prendendo a mazzate in testa è
rozzo e ignorante e che il suo stile di vita lo porterà prima o poi alla morte.
Nei piani e nelle esercitazioni sovietiche non si
nota alcuna funzione difensiva, ma solo e puramente offensiva. L’offensiva
principale sarebbe stata sferrata contro la Germania settentrionale con cinque
gruppi di armate: le forze sovietiche basate in Germania Orientale, in Polonia e
in Cecoslovacchia; gli eserciti della DDR, della Cecoslovacchia e della Polonia;
le forze sovietiche della Russia Bianca e dell’Ucraina. Lo sfondamento doveva
avvenire nei pressi della costa baltica, poi le forze del Patto di Varsavia
avrebbero potuto procedere per Brema, Amburgo e per l’Olanda e da lì a
Parigi. Curioso per noi il fronte meridionale, affidato a tre gruppi di armate,
fra cui truppe d’élite cecoslovacche addestrate per il combattimento in
montagna e quasi tutto l’esercito ungherese. Curioso perché la manovra
prevedeva di concentrare lo sforzo nell’occupazione rapida dell’Austria e in
una successiva manovra di accerchiamento da Sud delle forze NATO dispiegate in
Germania, ma ben poco era riservato all’Italia e alla sua
“neutralizzazione”, solo vaghi accenni all’occupazione dei passi alpini
principali da parte delle truppe da montagna. Niente di più. Il ruolo
dell’Italia era ritenuto “non necessario dal punto di vista strettamente
militare”. Ciò può voler dire principalmente due cose: che il nostro
esercito composto da 600.000 burattini demoralizzati di leva non faceva paura a
nessuno, neppure se minacciava direttamente il fianco Sud dell’intera manovra
del Patto di Varsavia; che i rossi si fidavano del ruolo amichevole nei loro
confronti che la nostra classe dirigente avrebbe giocato, rimanendo neutrale o
consegnando direttamente il Paese al nemico. C’è da sospettare che la diceria
delle “48 ore di resistenza” del nostro esercito non sia solamente una
diceria. Una manovra di minore entità sarebbe stata compiuta nell’estremo
Nord dell’Europa: un attacco alla Norvegia settentrionale che avrebbe anche
coinvolto la Svezia (un Paese neutrale!) e uno sbarco in Islanda.
L’occupazione delle coste nord-atlantiche avrebbe permesso all’intera marina
sovietica di entrare nell’Atlantico e strangolare l’Europa.
I Sovietici erano talmente convinti di vincere la
partita da aver accumulato nei loro depositi militari medaglie commemorative per
le vittoria sul fronte tedesco, per il passaggio del Reno, per la presa di
Parigi e migliaia di targhe stradali recanti i nomi degli eroi sovietici da
sostituire alle targhe delle strade occidentali.
E ora qualche nota cronologica non guasta: tutti
questi piani sono stati messi a punto fra il 1981 e il… 1988! Cioè anche
quando i nostri opinion leaders erano convinti e straconvinti che con Gorbačëv
le cose fossero veramente cambiate. Vediamo che cosa stavano facendo gli Europei
mentre dall’altra parte si pianificava il nostro annientamento fisico totale:
si moltiplicavano i contatti scientifici e culturali con i Paesi dell’Est, si
completava il gasdotto siberiano (quale potente strumento di ricatto nelle mani
dell’URSS!), ci si opponeva quasi ovunque ai piani di riarmo della NATO,
portati a termine solo per la determinazione dell’amministrazione Reagan.
Milioni di sinistrorsi, accompagnati da pannelliani e da libertari ingenui
marciavano per le strade d’Europa contro l’installazione degli euromissili.
Fosse stato per loro adesso abiterei in V. Breznev.