Pure la nostra "tolleranza"
può diventare integralismo

di Ida Magli, da "Il Giornale" 5 Marzo 2001

Il sussulto di indignata sorpresa di fronte alla distruzione delle statue di Buddha, "patrimonio culturale dell'umanità", può forse essere utile, comunque le cose vadano a finire, per riflettere su noi stessi, sulle radici profonde della nostra cultura, più che su quella talebana. Per comprendere il nostro atteggiamento di violenta condanna nei confronti dei Talebani, dobbiamo per prima cosa riconoscere (cosa che da tempo abbiamo dimenticato) l'assoluta diversità, la rottura epistemologica compiuta dal cristianesimo nel sistema logico della religione ebraica e, di conseguenza, di quella musulmana. Un Dio del quale non si può pronunciare il nome, un Dio del quale non può essere fabbricata nessuna immagine, un Dio il cui volto è inconoscibile, diventa all'improvviso tanto vicino all'uomo, tanto simile, tanto innamorato dell'uomo, da generare per lui un figlio che è simultaneamente sia Dio che Uomo.

Il problema delle "immagini", della rappresentazione visiva di questo Dio, ha investito, come è noto, con estrema violenza l'Oriente cristiano, molto più vicino psicologicamente e culturalmente all'ebraismoe a all'islamismo che non l'Occidente latino, e se ha vinto l'Occidente è stato perché la "rappresentabilità" era un fatto determinante. Esso coglieva, infatti, alla radice l'assoluta diversità del cristianesimo nel rapporto con Dio, in Dio: soltanto perché è anche uomo il Dio può essere rappresentato.

Inutile dire di quanto e di quale sviluppo abbia goduto l'arte occidentale partendo proprio da questo presupposto. I duemila anni della pittura e della scultura in Europa sono prima di tutto o duemila anni dell'arte cristiana. Ma è proprio qui, nella coincidenza fra rappresentazione religiosa e rappresentazione artistica che oggi l'Occidente si trova in difficoltà, ed anche in contraddizione, nel tentare di far convivere la propria assoluta diversità con il mondo islamico. Il ponte che si è tentato di gettare poggia, in realtà, non su un sistema logico del pensiero cristiano, ma sull'indebolimento della fede religiosa, un indebolimento che induce a non comprendere più una qualsiasi opera se non in termini culturali, storici, artistici. Le statue di Buddha, quindi, non sono i simboli di una religione, che per i credenti di un'altra è necessariamente "falsa", ma opere appartenenti a tutta l'umanità. Si accusano perciò i Talebani di fanatismo, di integralismo, in quanto rivendicano l'obbedienza e il rispetto del Corano nella sua pienezza, privi di quella "tolleranza" che è adesso la nostra religione. Una religione che a sua volta rischia di diventare, e spesso lo diventa, altrettanto fanatica e integralista quando la imponiamo sia nel nostro stesso mondo che negli altri. Mi riferisco, come è ovvio, a quei governanti che impongono oggi ai cristiani la presenza di molti immigrati non cristiani. La conseguenza è che si tolgono i crocefissi, non si festeggia il Natale (è già avvenuto nel Bresciano e nel Bergamasco) per non urtare la loro sensibilità religiosa, dando per scontato che la sensibilità dei cristiani sia molto minore, e che comunque debba essere "tollerante". L'interrogativo allora è se togliere di mezzo i crocefissi sia meno violento che distruggere le statue del Buddha; oppure se si possa con tranquillità distruggere le "brutte" Pietà disseminate agli angoli delle nostre strade, ma non la Pietà di Michelangelo.

Insomma dobbiamo renderci conto che il nostro sistema di vita è pieno di contraddizioni, e che il concetto di tolleranza può diventare altrettanto violento quanto il fanatismo islamico; per giunta vigliacco ed ipocrita dato che abbiamo conservato il silenzio sulla politica dei Talebani, sul sistema oppressivo nei confronti delle donne e dei bambini, sulla sanguinosa repressione di qualsiasi dissidenza in Afghanistan. Purtroppo i governanti, e tutti coloro che esercitano la leadership dell'Occidente, non vogliono convincersi del fatto che ogni sistema culturale si regga su una logica interna al sistema stesso, e che pertanto il nostro, tanto quanto quello degli altri, non è esportabile a pezzetti.

Gli uomini hanno diritto alle differenze, e a cambiare da se stessi, se vogliono, la propria storia. Senza imposizioni dall'esterno, e senza imposizioni dei governanti. Anche noi, dunque, abbiamo questo diritto, anche gli uomini dell'occidente.

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