I privati alla conquista dello spazio

di GUGLIELMO PIOMBINI

"ESPLORAZIONE SPAZIALE. Noi ci opponiamo a tutte le restrizioni governative dell’uso pacifico e volontario dello spazio esterno. Noi condanniamo tutti i tentativi internazionali di impedire o limitare l’esplorazione, l’industrializzazione, e la colonizzazione privata della Luna, dei pianeti, degli asteroidi, dei satelliti orbitali, e di ogni altra risorsa extraterrestre. Noi ripudiamo i principi contenuti nel Trattato Lunare delle Nazioni Unite. Noi sosteniamo la privatizzazione della Nasa." (dalla Piattaforma del Libertarian Party)

 

"La libertà – ha affermato recentemente Jim Davidson della Houston Space Society – ha bisogno di frontiere. Per capirlo basta vedere cosa è successo negli Stati Uniti pochi decenni dopo il 1893, l’anno in cui le ultime terre vergini dell’Oklahoma furono assegnate, e la Frontiera dichiarata ufficialmente chiusa. Di lì a poco il principio della libertà individuale subirà un attacco concentrico da più fronti, e i risultati saranno le leggi antitrust, il proibizionismo sull’alcool, l’imposta sul reddito, la creazione dell’FBI, e l’affermazione definitiva, durante il New Deal, del moderno Welfare-Warfare State, fondato sul complesso militare-industriale e su un vasto sistema burocratico di regolamentazione e di sicurezza sociale".

Se fosse rimasta aperta una qualche frontiera, cioè un vasto territorio libero capace di dar rifugio agli individui più intraprendenti, forse non ci sarebbe stata la rovinosa involuzione statalista del XX secolo. Non è una coincidenza, infatti, che la civiltà occidentale sia stata individualista ed espansiva fino a quando è esistita la possibilità di nuove scoperte geografiche; e che si sia rinchiusa in se stessa non appena le ultime frontiere da esplorare sulla Terra si sono esaurite, scegliendo durante il ‘900 di suicidarsi nella falsa sicurezza del socialismo statalista e nel proprio inesorabile destino d’invecchiamento demografico e spirituale.

Ecco perché, secondo Jim Davidson, è assolutamente necessario che nel terzo millennio l’umanità si lanci alla scoperta del cosmo: "Se i nostri antenati sono stati capaci di aprire la frontiera sconosciuta degli oceani, noi abbiamo ancora più conoscenze e risorse per aprire la frontiera dello spazio!". Di ciò è perfettamente convinto anche Rick Tumlinson, presidente della Space Frontier Foundation, la più importante associazione che si batte in favore dell’espansione umana nell’universo: "25 anni dopo l’esplorazione di Lewis e Clark migliaia di carovane già si dirigevano verso ovest, e altrettante navi portavano i pionieri in California; 25 anni dopo il primo volo dei fratelli Wright la gente poteva acquistare un biglietto per un volo di linea; ma a 30 anni dal primo sbarco sulla Luna non è successo nulla, e la nostra delusione è grande".

Per questi sostenitori del ritorno umano nello spazio le cause del lungo ristagno dei programmi spaziali americani stanno nel carattere fortemente centralizzato, monopolistico e statalistico delle attività della Nasa, la quale è accusata di aver speso miliardi di dollari del contribuente americano per progetti faraonici fallimentari o privi d’utilità pratica. L’ente spaziale americano, infatti, opera ancora secondo i principi dell’economia di guerra, importati dalla Germania nazionalsocialista attraverso Werner von Braun (il famoso inventore dei razzi V2 usati da Hitler, trasferitosi negli Stati Uniti dopo la sconfitta del Terzo Reich) e applicati durante la guerra fredda per vincere la sfida militare con l’Urss. Lo stesso programma Apollo per lo sbarco sulla Luna venne concepito e attuato seguendo schemi militari rigidamente centralizzati. Esso raggiunse gli obiettivi di prestigio nazionale che il governo si proponeva, ma non portò a benefici economici né aprì una nuova fase d’espansione dell’umanità nel cosmo.

Il punto è che l’apertura di una nuova frontiera nello spazio, cioè l’inizio di un’attività di esplorazione e colonizzazione di nuovi mondi, rappresenta un’impresa di tipo completamente differente rispetto a quella di piantare una bandiera e lasciare qualche impronta sul terreno lunare. E’ un compito talmente vasto e complesso che, per dirla con le parole di Mises e di Hayek, nessun pianificatore centrale sarà mai in grado di programmare. L’unico modo per realizzarlo consiste nel lasciare il campo libero alle conoscenze disperse in milioni d’individui spinti dalle proprie diverse motivazioni ideali, imprenditoriali, scientifiche, o avventurose. Le strutture pesanti e burocratizzate del governo sembrano scarsamente adatte ad affrontare un progetto aperto al nuovo, allo sconosciuto e all’imprevedibile quale quello dell’espansione nello spazio, che necessita di organizzazioni flessibili, leggere, e decentralizzate.

Anche la storia è lì a dimostrare che sono sempre stati gli individui, e mai i governi, ad aprire le nuove frontiere. Il Far West fu colonizzato grazie alle decisioni spontanee di milioni di pionieri, contadini, trapper, taglialegna, cacciatori, cercatori d’oro, esploratori, commercianti, corrieri, missionari e avventurieri, non da funzionari con in tasca le istruzioni del governo. Nè lo stato progettò le tecnologie necessarie alla conquista e allo sfruttamento dei nuovi territori: "Sarebbe come se, al ritorno dal loro viaggio esplorativo, Jefferson avesse ordinato a Lewis & Clark di progettare delle carovane e delle imbarcazioni per far affluire le persone verso ovest, e i pionieri avessero dovuto aspettare il completamento del progetto governativo. In queste condizioni – nota Rick Tumlinson - nessuno sarebbe mai partito, e la conquista della frontiera non ci sarebbe mai stata. Eppure nella corsa allo spazio oggi ci stiamo comportando proprio in questo modo assurdo, con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti!".

In realtà, anche grazie a queste campagne d’informazione e di propaganda, la privatizzazione del settore dell’esplorazione spaziale sta trovando sempre più consensi all’interno dell’Amministrazione americana. Fino a pochi anni fa l’eventualità della privatizzazione era stata prospettata solo nei romanzi di fantascienza (come nel racconto L’uomo che vendette la Luna del grande Robert Heinlein) o nei testi degli autori libertari: David Friedman fu tra i primi a far notare che, grazie alla pubblicità e alla vendita dei diritti televisivi e delle pietre lunari, un imprenditore privato sarebbe stato in grado di sbarcare sulla Luna non solo facendo risparmiare al contribuente americano 24 miliardi di dollari, ma addirittura guadagnandoci. Oggi la teoria è diventata realtà: nel 1998 la Houston Mission Control è stata appaltata ad una società privata, e la navetta spaziale che ha riportato il "vecchio" John Glenn nello spazio è già da tempo in gestione parziale di privati; il piano di privatizzazione della stazione spaziale internazionale dovrebbe essere attuato entro poco tempo; infine, anche il direttore della Nasa, Dan Goldin, si è detto favorevole ad affidare progressivamente, nel giro di dieci anni, tutte le attività scientifiche e commerciali Terra-Luna ai privati.

Negli ultimi tempi è scoppiata così una pacifica rivoluzione nell’industria spaziale americana, grazie allo spirito d’iniziativa di una nuova generazione di imprenditori, in gran parte scienziati o ex astronauti, uniti dal motto "Per andare nello spazio e restarci dobbiamo fare in modo che lo spazio renda!". La ShareSpace, fondata da Buzz Aldrin, studia la possibilità di promuovere il turismo spaziale trasportando passeggeri paganti; la Luna-Corp di David Gump intende spedire nel 2002 un rover automatico sulla Luna, e vendere poi i diritti televisivi e i risultati scientifici della propria esplorazione; un’altra compagnia, la Applied Space Resources, pensa invece di finanziare la propria missione vendendo ai collezionisti dei campioni di suolo lunare: sembrerebbe un modo bizzarro per far soldi, ma Denise Norris (fondatrice della compagnia) ricorda che nel ‘600 la colonizzazione dell’America del nord venne finanziata in gran parte con la vendita di oggetti esotici come il tabacco e le pelli di castoro.

Lo studio accurato dei sistemi usati dai grandi esploratori del passato rappresenta per questi imprenditori un dato importantissimo nella progettazione delle loro spedizioni. L’ingegnere Robert Zubrin, il massimo progettista dello sbarco umano su Marte, ha fatto notare che il norvegese Amundsen ebbe più successo degli attrezzatissimi inglesi nell’esplorazione dell’Antartide perché optò per una spedizione autofinanziata, poco costosa, veloce, e leggera. Proprio come quella proposta dai membri della Mars Society, la società di entusiasti "filo-marziani" fondata dallo stesso Zubrin: invece dei 400 miliardi di dollari che il carrozzone Nasa ha preventivato per un eventuale sbarco su Marte, Zubrin ha calcolato che, seguendo sani criteri economici, una compagnia privata potrebbe realizzare l’impresa spendendo non più di 55 miliardi di dollari, che potrebbero scendere a 20, 10 o addirittura a 5 miliardi nei prossimi decenni. Per il finanziamento egli ha immaginato anche il ricorso a sistemi come l’offerta di un premio da parte di entusiasti mecenati (pratica comune nei secoli scorsi) o una lotteria marziana. La missione dovrebbe poi continuare con un’opera di bonifica dell’atmosfera di Marte, per mezzo di una colossale iniezione di clorofluorocarburi, che scalderebbe il pianeta in modo da renderlo un giardino abitabile per l’uomo. A quel punto la colonizzazione umana sarebbe cosa fatta.

Ma la missione allo stadio più avanzato di realizzazione è quella messa in cantiere dalla SpaceDev di Jim Benson, il quale vuole a tutti i costi mandare nel 2002 una sonda sul satellite Nereo. La missione costerà 50 milioni di dollari, ma dovrebbe procurare profitti per 120 milioni. Come? Innanzi tutto grazie ai diritti televisivi e alle sponsorizzazioni, dato che tutta la nave sarà coperta da marchi commerciali; in secondo luogo, noleggiando la sonda ai centri di ricerca, i quali hanno pagato profumatamente per caricare i propri macchinari, che verranno poi depositati sull’asteroide; in terzo luogo, attraverso lo sfruttamento minerario dell’asteroide, che con tutta probabilità è ricco di metalli preziosi. Jim Benson, infatti, intende dichiarare Nereo come sua proprietà privata, in base al diritto di scoperta e di occupazione. La sua pretesa sembra ineccepibile, tenuto conto che l’asteroide rappresenta una cosa di nessuno, una res nullius destinata a cadere in proprietà del primo occupante secondo i principi del diritto naturale e della tradizione consuetudinaria anglosassone e romanistica.

In effetti, la determinazione dei diritti di proprietà nello spazio rappresenta la questione veramente cruciale, da cui dipende tutto il futuro dell’espansione umana nello spazio. Vi è il rischio infatti che i governi terrestri impediscano lo sviluppo di un ordine libertario nello spazio esterno, ponendo ostacoli alla formazione spontanea di un sistema di diritti privati di proprietà nel cosmo. Il Trattato Internazionale sullo Spazio del 1967 (l’Outer Space Treaty) vietò di proclamare la sovranità nazionale sui corpi celesti, ma non proibì la proprietà privata. Tuttavia con il successivo famigerato Trattato Lunare del 1979 (che gli Stati Uniti non ratificarono a seguito delle veementi proteste di alcune associazioni pro-space) le Nazioni Unite affermarono che lo spazio esterno alla Terra dovesse essere considerato "eredità comune di tutta l’umanità". Se questa dichiarazione ispirata al più megalomane collettivismo fosse applicata, gli stati potrebbero impedire a tutte le prossime generazioni qualsiasi appropriazione privata delle ricchezze dello spazio e qualsiasi libera impresa di colonizzazione planetaria. Come dire: dal socialismo mondiale al socialismo universale!

La pretesa dei governi terrestri di estendere la propria sovranità nello spazio interstellare appare comunque non solo priva di qualsiasi legittimità, ma anche realisticamente impraticabile. Se l’umanità avrà un futuro nello spazio, è più probabile che saranno le regole libertarie ad imporsi nelle aree inesplorate, così come si imposero nella frontiera americana nel secolo scorso. Il fatto che quasi tutte le maggiori organizzazioni americane a favore del rilancio dei programmi d’esplorazione spaziale siano d’orientamento libertario rappresenta, in tal senso, un dato che fa ben sperare. Il sogno dei libertari è che, in un futuro non troppo lontano, il cosmo diventi una zona completamente liberata da governi, tasse, e regolamentazioni statali: uno spazio illimitato in cui una nuova civiltà di coloni potrà sperimentare e sviluppare forme di vita sociali più libere di quelle in uso sulla vecchia Terra.

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