Magenta, piccola città, bastardo posto, direbbe Guccini con quel ghigno da pseudo intellettuale sinistroso. Qui, per una settimana, non è stata recapitata la posta. Eppure, per chi non lo sapesse, siamo in Lombardia, Padania, direbbe il Bossi, non in qualche sperduta provincia hic sunt leones di tradizioni levantine.
Non bastano i perenni ritardi: tutti ormai sono rassegnati al fatto che una busta ci metta un mese per percorrere Magenta-Milano, trenta chilometri infestati da pericolosi pirati che dalle sponde del Naviglio abitualmente assaltano il prezioso carico della poste italiane. Dimenticavo, c’è il servizio “posta prioritaria”, che ti garantisce la consegna in 24 ore, ma le ore della pubblica amministrazione sono talmente lunghe che alle volte la nostra povera busta ci impiega una settimana ad arrivare a destinazione. Stessa tratta, stessi luoghi, a piedi, nel Medioevo, un manoscritto veniva recapitato in quattro giorni; troppo avanti questi signori feudali!
Oggi, invece, a Magenta, per risolvere il problema alla radice, la corrispondenza non la consegnano più. Il direttore sostiene di avere i dipendenti ammalati, di non trovarne altri e non sa che pesci pigliare. Le poste sono privatizzate, mi ha detto con aria rassegnata…è vero, ma solo sotto il profilo giuridico. L’azienda poste italiane è una SPA, ma col meccanismo del golden share, lo stato, oltre a detenere ancora una cospicua fetta di azioni, ne determina la politica e vi detta le regole. In regime di monopolio.
Non chiedo però allo stato di rendere più efficiente il servizio…vorrebbe dire fare il gioco dei sindacati, che a giorni alterni reclamano più assunzioni per vendere rendite parassitarie ai loro adepti. Avremmo solo più sedie riscaldate da oziosi e inutili burocrati, naturalmente a spese nostre. Ma non cambierebbe nulla in termini di efficienza.
Mi rivolgo quindi al presidente del consiglio dal sorriso di giada che non perde occasione per ricordarci la sua fede liberista (ma dove?): si faccia promotore di una completa e sostanziale privatizzazione delle poste italiane, in modo che chiunque possa aprire una vera agenzia postale privata e il cittadino, da suddito di un sistema monopolistico, diventi consumatore sovrano, cioè, in grado di poter scegliere sul mercato, e decretare così la sopravvivenza di chi sa fornire il servizio e la morte di chi questo mestiere non lo sa fare.
Se anche questo appello dovesse cadere nel vuoto, non ci resta che darci all’illegalità, ovvero fare come se lo stato non esistesse. Così fece Lysander Spooner, il padre dell’anarco-individualismo, la corrente più intransigente e radicale del liberalismo. Egli, nel lontano 1844, Ohio, USA, di fronte all’esosità delle tariffe del servizio postale nazionale, l’unico autorizzato in via esclusiva, fondò L’American Letter Mail Company (ALMC), una ditta privata specializzata nei servizi postali: iniziò a stampare francobolli, a pubblicizzare il proprio servizio caratterizzato da un’insolita celerità nelle consegne, ecc.; il tutto a prezzi molto inferiori rispetto le tariffe del sistema pubblico. In poco tempo riuscì ad accumulare anche una cospicua somma di denaro. Come finì questa avventura? Con il fallimento della società di Spooner, non decretato dal mercato, ma dallo stato americano, che iniziò ad arrestare i postini della AMLC, a intimidirne i dipendenti e a multare il titolare.Intanto Spooner aveva dimostrato che un sistema postale destatizzato funziona meglio e costa meno. David Friedman, filosofo ed economista, ha ragione: tutto ciò che è fatto dallo stato costa il doppio. Risultato: nell’Ohio, i politici, umiliati, furono costretti ad abbassare notevolmente le tariffe e a sveltire le consegne.
Oggi, a Magenta, dopo otto giorni, il postino si è rifatto vivo. Intanto anche da noi qualche nostrano Spooner sta preparando la sfida all’Elmo di Scipio…