Peggio vincolati che sparpagliati
Si possono fare battaglie giuste con gli argomenti sbagliati. Una battaglia giusta, almeno secondo il sottoscritto, è quella contro l’Unione Europea.
Negli anni cinquanta, poteva essere un bel sogno: un’area di mercato comune, libera, in mezzo ai due fuochi della guerra fredda. L’ancora di salvezza per proteggere l’Europa dalla morsa dello statalismo selvaggio d’oltrecortina.
La situazione è cambiata: oggi viviamo in un mercato che è comune per definizione e, dunque, quelle che erano le premesse dell’Europa liberale sono diventati i fatti del mondo globalizzato. Tuttavia, nel frattempo s’è costituito un organismo burocratico, quello europeo appunto, che non ha alcuna voglia di scomparire e s’è riciclato come disperato appiglio del vecchio Stato-nazione.
L’idea è che, facendo crescere in dimensioni lo Stato, se ne possa frenare il declino. L’antieuropeismo è una causa giusta: significa opporsi ad un super-Stato nascente, che tassa, regolamenta, opprime con una ferocia mai vista prima. E che ci prende anche per i fondelli: sembra essere “contrario ai principi della realtà”, direbbe Ida Magli, cioè se ne frega del più elementare buonsenso.
Lo dimostra la vicenda della Carta dei diritti: è la prima costituzione che non costa sangue, anzi è il Potere che benevolmente ce la concede, assegnando diritti e doveri alla bisogna.
Tuttavia, questo (ri)sentimento può essere cavalcato con argomenti sbagliati e pericolosi.
L’euroscetticismo è, spesso, l’ultimo rifugio del nazionalismo. E del comunismo. Fausto Bertinotti è ferocemente avverso alla Ue. Allo stesso modo, alcuni rappresentanti dell’estrema destra danese hanno recentemente osservato che “senza la corona (cioè la moneta autoctona) avremmo perso la nostra identità nazionale”. Ragionamento curioso, visto che gli ideologhi di tali formazioni politiche hanno sempre ostentato disprezzo per l’economia “prigione dei popoli”.
Una valuta è addirittura mezzo di scambio, oltre che lo sterco del demonio: un incubo, insomma, per le destre estreme di ieri e di oggi. Che torna inspiegabilmente utile nella nuova propaganda, elevando il soldo a paradigma della nazione. Ciumbia.
Ben altri sono gli argomenti pregnanti nella lotta al nuovo Leviatano. Una bella enunciazione, dotta e ben scritta, è quella di Anthony De Jasay, pubblicata il 17 ottobre scorso sull’edizione europea del “Wall Street Journal”. Un lavoro pregevole, da parte di un osservatore quanto mai acuto, sull’intima corruzione del potere. Si parva licet, Roberta Tatafiore, dalle colonne del sito internet di “Pololaico”, ha dimostrato di sapersi fare scudo di motivazioni altrettanto persuasive, sottolineando come l’Europa sia un tritasassi che fa a pezzi ogni ombra di competizione. E la competizione, soprattutto a livello di sistemi giuridici, è quella cosa in cui dobbiamo confidare se vogliamo vedere emergere un modello liberale.
I nazionalsocialisti, ovviamente, non condividono. E, poiché sono più chiassosi delle persone perbene, tendono a seppellire con la loro vociona i ragionamenti degli euroscettici consapevoli.
Basti pensare all’Italia, dove l’antieuropeismo sembra patrimonio di Forza Nuova e del subcomandante Faustos, più che di Ida Magli, Sergio Ricossa, Giordano Bruno Guerri, Antonio Martino e tanti altri. C’è un’intima contraddizione in tutto questo. Perché mentre chi apprezza il mercato e lo scambio, il confronto e l’agorà, la libertà, trova negli squali di Bruxelles un nemico vero e presente, che attenta quotidianamente ai suoi diritti, chi inneggia al socialismo di Stato e alla tutela delle tradizioni avrebbe nel nuovo super-Stato un alleato potentissimo.
Anzitutto perché il suo modello economico, dichiarato, è quello di un’economia mista, con una pianificazione certosina del chi fa che cosa. In secondo luogo, perché, et voilà, i nuovi parlamenti legiferano e legifereranno a tutela di questa o quella peculiarità tradizionale. Ci lascerann scrivere in dialetto nomi e cognomi delle nostre città spillandoci il 70 cento di quanto guadagniamo. Soprattutto, si porranno (e già si pongono) a tutela di certa “europeicità”.
Già si parla di pensiero europeo, tradizione europea, sentire europeo (tutte espressioni vuote) a tutela di questo macro-sentimento nazionale contro i nemici di sempre dei nazionalsocialisti, cioè gli americani. Chi spacca le vetrine dei McDonald’s andrà in brodo di giuggiole leggendo la carta dei diritti.
Manca solo la “libertà dal bisogno”, e poi la lancetta tornerà indietro di mezzo secolo. Il simbolo dell’euro simboleggia l’incontro fra la svastica, la falce e il martello. Marciamo uniti, verso il sol dell’avvenire.
Alberto Mingardi