Intervista a C. Blocher: no all'ONU

di Alberto Mingardi

 

ZURIGO (CH) - Don Chisciotte ha gli occhi di Christoph Blocher: occhi limpidi, occhi sereni. E’ la vigilia di un evento importante, domani la Svizzera sceglie se entrare o meno nelle Nazioni Unite. Aveva già votato nel 1986, e allora prevalse il buon senso: una cascata di “no” (il 75%) stroncò le ambizioni dei politici elvetici, il desiderio pruriginoso di ritagliarsi un posticino alla grande mangiatoia del Palazzo di vetro. Ma, si sa, gli Stati sono come le donne: non mandano giù un rifiuto troppo facilmente. E così Berna torna alla carica, stavolta con buone probabilità di successo: i sondaggi danno l’esito del referendum ancora incerto, epperò la direzione è chiara, i sì si avviano a vincere, sia pure di misura. I più onu-entusiasti sono gli svizzeri della Svizzera francese, si parla di un 55% a favore. Il primato dello scetticismo se lo giocano tedeschi (40% i contrari) e ticinesi (38%). Sono già numeri impressionanti, tenendo presente che sull’ingresso nelle Nazioni Unite si è formato un nuovo “arco costituzionale”: da una parte i partiti, i grandi media, i giornali autorevoli. Dall’altra Blocher e la sua “Unione democratica di centro”, cioè Blocher e basta.

Lo chiamano il “tribuno di Zurigo”, l’Haider della Svizzera, è “xenofobo”, è “fascista”. Invece è solo un liberale, un liberale vero, di quelli che mugugnano perché la Swissair “zoppica sulle stampelle dello Stato”, di quelli che gli brillano gli occhi se cita l’economista austriaco Ludwig von Mises, che sanno che Hayek ha vinto il Premio Nobel mica Castrocaro. Ammira Wilhelm Roepke, sbandierato persino da Berlusconi quando in campagna elettorale proclamava sicuro “il nostro modello è la Svizzera” (poi Tremonti ha dichiarato guerra al segreto bancario): e la Svizzera che Blocher ha in mente è proprio quel presidio della libertà che conquistò Roepke. Bisogna custordine l’eccezionalità e lo spirito, guai ad annullarsi nel cocktail delle grandi istituzioni internazionali: siano Onu o l’Unione Europea. Blocher, figlio di contadini che è diventato multimiliardario, leader politico che si fa le fotocopie da solo, ci crede. E se il governo ha mischiato le carte, e promesso l’impossibile (“entriamo nell’Onu, ma manterremo la nostra neutralità”), lui non si tira indietro e dà battaglia. “Per che cosa?” “Per la Svizzera”, e da come lo dice capisci che non è un Paese, è un’idea.

Signor Blocher, lei incarna il fronte del “no” all’ingresso della Confederazione elvetica nell’Onu. Una domanda a bruciapelo: perchè?

“Vede, questo piccolo popolo e questo piccolo Paese viene ammirato dal mondo intero per il suo alto tasso di libertà. Per la democrazia diretta, esercitata attraverso i referendum. In fondo, gli svizzeri sono l’unica nazione a poter decidere personalmente se desiderano che il loro Paese aderisca alle Nazioni Unite. E grazie  a una neutralità saggiamente tutelata e totale, non hanno dovuto partecipare a nessuna guerra per 200 anni... Non le basta?”

Crede che tutto questo sia a rischio nel caso dal referendum di domani escano vincenti i “sì”?

“Se entriamo nell’Onu, diventeremo marionette nella mani del Consiglio di sicurezza, e così facendo perderemo la nostra neutralità, che è da sempre uno dei principi su cui si fonda la Confederazione. Non vogliamo che le Nazioni Unite possano trascinarci in guerra a loro piacimento.”

Perché  questa “neutralità” è tanto importante per la Svizzera?

Lo è perché protegge il nostro popolo, in due modi diversi: innanzitutto impedisce che i nostri governanti ci trascinino in questo o quel conflitto, a seconda di come si allineano i grandi interessi internazionali. E poi la neutralità impedisce che il nostro, che è un Paese plurilingue, con quattro culture diverse che si confrontano giorno per giorno, venga dilaniato da prese di posizione diverse dei vari cantoni su questa o quella guerra”.

Il vostro governo sostiene che entrare nell’Onu non significa ipso facto rinunciare alla neutralità.

“Non scherziamo: non è possibile restare neutrali, firmando un accordo in cui si dice che il Consiglio di sicurezza può obbligare uno Stato membro a procedere contro un altro Stato attraverso embarghi, sanzioni, o addirittura l’invio di truppe contro di esso.

D’altrocanto, la Svizzera partecipa già oggi alle attività umanitarie delle Nazioni Unite: versiamo 500 milioni di franchi all’anno...”

Ma lei è scettico sul fatto che le Nazioni Unite siano davvero il guardiano benevolo della pace mondiale...

“Dico solo che le buone intenzioni non bastano. Ci sono quaranta guerre in corso tra Paesi membri dell’Onu, lo sa? La pace è un’altra cosa.”

Lei mette assieme una schietta antipatia per l’Onu a un’allergia altrettanto forte per l’Unione Europea.

“La verità è che queste organizzazioni internazionali sono molto lontane dai cittadini. Credo che i contribuenti svizzeri siano stanchi di pagare, ogni anno, per il mandato Onu di Carla del Ponte circa un milione di franchi. E il bello è che questa signora ci ringrazia ringhiando che “la Svizzera è ancora molto lontana dalla comunità internazionale”...”

La del Ponte ha sempre avuto la statura dell’agit-prop. Tornando a noi: lei è molto critico nei confronti di queste agenzie internazionali, ed al contempo fautore della globalizzazione economica. Un osservatore distratto potrebbe trovarci una contraddizione.

“Un osservatore distratto.  Io credo sia necessario accettare una incontrovertibile realtà: un’organizzazione del mondo duratura e pacifica è possibile solo se si basa sui principi della libertà e dell’economia di mercato. Chi svolge un’attività commerciale, non vuole a ragione condurre nessuna guerra contro le sue controparti. E per mantenere questo ordine – lo chiami “globalizzazione”, se vuole -  non è necessaria nessuna azione legislativa, nessuna burocrazia mondiale e nessuna Onu, così come il commercio mondiale non necessita di un «centro mondiale del commercio».”

Che cosa serve, allora, per mantenere la pace?

“Bisognerebbe che tutti gli Stati si convertissero al liberalismo (ovvero: al rispetto ed alla salvaguardia della proprietà privata)– ed è una conversione che nessuno può imporre con la forza, nemmeno un ipotetico governo mondiale (illiberale per definizione). Ecco perché voteremo no all’ingresso della Svizzera nell’Onu”.

Non teme che una eventuale sconfitta in questo referendum possa portare a una battuta d’arresto per i consensi del suo partito, l’Unione democratica di Centro?

“Paradossalmente, se perdessimo credo che aumenteremmo ancora il numero dei nostri sostenitori: la gente vedrà di qui a pochi mesi che l’adesione all’Onu significa l’anoressia della nostra libertà, e saranno gli altri partiti ad averne la responsabilità e a portarne il peso.

Ma se vinciamo noi è meglio per la Svizzera”.

Alberto Mingardi

 tratto da Libero del 2 Marzo 2002

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