E' la star del
momento: si chiama mucca pazza
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di Roberto Enrico Paolini
E’ la star del
momento, si chiama mucca.
Non ha fatto nulla per
diventare così famosa, eppure è sulla bocca di tutti, con quell’appellativo
da psicolabile: “pazza”. Non si capisce innanzitutto dove stia la pazzia di
questa povera bestia: scalcia, salta, corre, cosa fa di preciso? Non si sa
niente, ci dicono solo che è pazza e la sua carne non si può mangiare. E
allora cosa si fa? Lo stato ha la sua ricetta: abbattere tutte le bestie
dell’allevamento. Quale logica sta dietro a questa mossa? O le mucche sono
tutte ammalate o le strutture del ministero della sanità non sono in grado di
fare i dovuti controlli su tutte le altre.
Se i controlli riguardano tutti
i capi di bestiame ( come i politici ci vogliono far credere ) non c’è alcun
pericolo; e allora perché tanto allarmismo? La verità è che lo stato sta
ancora una volta cercando un nuovo pretesto, la tutela della salute pubblica,
per aumentare il suo potere di controllo sulla società.
Qui si parla di
allevatori, gli stessi già bersagliati dal fenomeno quote latte: ricordate?
Chi aveva distribuito quote a
finti allevatori che non possedevano nemmeno una mucca? Chi
si era impegnato a livello europeo per una quantità di latte inferiore
di gran lunga a quanto l’Italia poteva effettivamente produrre, obbligando
molti allevatori ad abbattere i loro capi? I politici, i nostri tutori, i
mestieranti delle carte bollate.
I responsabili di
ieri non possono diventare i controllori della qualità della carne oggi. Dei
burocrati del ministero della sanità e dei loro padrini politici al governo, io
non mi fido: non sanno né governare né tantomeno controllare.
In questo settore
( come in tutti gli altri ) servirebbe una devolution di competenze a coloro
che, quotidianamente, fin dalle prime luci dell’alba, si occupano di animali:
gli allevatori. Lasciamoli lavorare, lasciamoli soli!
Sapranno organizzarsi, meglio
di come lo sono oggi, in associazioni a tutela della qualità dei loro animali.
Questa è la strada da percorrere, quella della responsabilizzazione degli
operatori del settore attraverso l’abolizione di tutti gli inutili carrozzoni
pubblici, utili solo ad ingrassare le tasche di qualche burocrate.
Sono dunque gli allevatori che
devono prendere l’iniziativa di costituire libere cooperative ( che brutta
parola, ma rende l’idea) per certificare la provenienza e la qualità delle
loro bestie. Deve essere un processo che nasce dal basso, da parte di chi è
competente in materia e
prende coscienza del fatto di essere consumatore oltre che produttore.
Gli allevatori, ma anche gli agricoltori, gli itticoltori ecc. devono creare un
loro marchio, magari a livello regionale, che sappia riconquistare la fiducia
della gente. Se aspettano “che la giustizia faccia il suo corso”, gli
“accertamenti” dei Nas, i “rilevamenti” delle Asl, e - la cosa più
comica - i rimborsi del ministro, fanno prima a chiudere: tutti questi sono i
loro aguzzini.
Se c’è qualcosa
di “pazzo” in questo paese, lo si può trovare nell’asfissiante
interventismo statale: per favore, non peggioriamo la situazione…altrimenti ci
ritroveremo con “tacchino pedofilo”, “pesce annegato”e “coniglio
scemo”.
(pubblicato
il 23 gennaio 2001 sul quotidiano "L'Opinione")
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