Militari o schiavi?


   L' articolo 52 della (loro) ,Costituzione  recita:
   «La difesa della patria è sacro dovere del cittadino. Il servizio militare è obbligatorio nei limiti e nei modi stabiliti dalla legge» Come spesso accade, dietro alle belle parole si nascondono i crimini più turpi: e così si tirano a mezzo Ia patria e i sacri doveri per obbligare tutti i cittadini maschi che abbiano compiuto il diciottesimo anno d'età a obbedire ciecamente per una decina di mesi agli ordini di qualche ufficiale. Si potrà obiettare: la Costituzione non è mai stata votata dal popolo, quindi non è in alcun modo vincolante. Questo è vero, almeno dal punto di vista del diritto naturale: ma non possiamo dimenticare che esiste un'associazione criminale denominata "Governo italiano" che ha assunto con la forza il controllo delle nostre vite e delle nostre proprietà e ci impone di obbedire alla Costituzione stessa.
   La leva obbligatoria è uno dei provvedimenti più odiosi di questo Stato. Secondo il vocabolario, infatti, uno schiavo è una persona che non ha la facoltà di decidere della propria vita e riceve in cambio del proprio lavoro solo lo stretto necessario per sopravvivere (o comunque è fortemente sottopagato). E cosa sono allora i militari di leva se non schiavi? Forse possono decidere cosa fare delle proprie giornate? Non pare proprio visto che i loro superiori scrivono il loro tabellino di marcia - che dovranno rispettare per filo e per segno - e li obbligano a un comportamento grottesco, fatto di esibizione e di sottomissione e di "sissignore!" gridati con tutto il fiato che hanno nei polmoni. E in cambio della loro fatica e del loro tempo cosa ricevono? Una paga misera di poche migliaia di lire al giorno, più naturalmente un vitto da far schifo e un alloggio su cui e meglio soprassedere per evitare l'altrimenti inevitabile turpiloquio.
   Insomma, ogni anno migliaia di giovani che avrebbero ben di meglio da fare vengono costretti (pena sanzioni durissime) a "svolgere il loro dovere", come ipocritamente si dice, cioè alzarsi una mattina all'alba dire ciao alla mamma e alla casa e prendere ordini senza possibilità di replicare da persone che molto spesso sono "poco raccomandabili". Neppure una posizione utilitaristica come e quella dei sostenitori della leva obbligatoria riesce a convincerci: la loro tesi, infatti, è che «bisogna pur preparare qualcuno a difenderci in caso di attacco nemico». Ma questo forse ci consente, per evitare un'ingiustizia futura e aleatoria, di compiere un'ingiustizia quotidiana e forse anche più grave? Le tonnellate di retorica che si riversano su questi argomenti, d'altra parte, non impediscono a chi vuole ragionare lucidamente di osservare che qualcuno potrebbe addirittura desiderare un'invasione: il che renderebbe doppia l'ingiustizia. Ci sono ad esempio molte persone (tra cui chi scrive) che pagherebbero per essere "conquistati" dagli Stati Uniti o dalla Svizzera e togliersi conseguentemente dai piedi politici che li amministrano loro malgrado...
   I nemici del servizio militare sono riusciti a far recepire nella legislazione italiana l'idea dell'obiezione di coscienza: qualcuno, e la loro opinione, potrebbe essere contrario all'uso stesso delle armi. Con che coraggio si possono costringere i pacifisti a imbracciare un fucile? Da una giusta premessa, però, si è arrivati a un risultato sconvolgente: l'istituzione del servizio civile. Coloro che non vogliono fare il militare, insomma, hanno la possibilità di essere schiavi non di un tenente colonnello, ma del responsabile di una associazione "umanitaria". Inutile dire che molte di queste associazioni, strettamente legate al potere politico hanno colto la palla al balzo e si sono assicurate una gran quantità di manodopera a bassissimo costo. L'Italia in pratica è talmente "clemente" da consentire ai suoi figli la scelta tra due tipi di servitù diverse...
   Ma c'è un altro tipo di obiezione, sicuramente più provocatoria e meno politically correct ma non per questo meno fondata. La pretesa esigenza di istituire la leva obbligatoria, infatti, si fonda - come già anticipato - sull'altrettanto preteso dovere dei cittadini di difendere la "patria".
   Quale patria, però? La patria di chi? Visto che la "patria", o la nazionalità, è esclusivamente e squisitamente soggettivo, è bene che sia ogni singolo cittadino a stabilirlo: e non la legge o qualche alto della sgangherata Repubblica italiana. Ecco allora sorgere la richiesta di vedere riconosciuto il diritto di ognuno all'obiezione di nazionalità.
   Si tratterebbe di un atto di civiltà, insomma, ammettere che non necessariamente chi è nato e risiede entro i cosiddetti sacri confini abbia a cuore il futuro dell'Italia, «non donna di provincia, ma bordello», scrisse Dante. Anche il suo essere un "atto di civiltà" ne rende estremamente difficile il riconoscimento in Italia, è bene che tutti acquisiscano coscienza dei propri diritti: se allora qualcuno ha desiderato di apprendere l'arte della guerra (per potere eventualmente difendere non la "patria" ma qualcosa di più concreto come la famiglia), e però non lo vuol fare sotto le tricolorite insegne, perché non concedergli di prestare il proprio servizio presso un altro Stato? L'Italia è nata in seguito alle smanie espansionistiche della dinastia più sfigata d'Europa e ha raccolto in sè popoli diversissimi tra di loro che di stare insieme non ne hanno mai voluto sapere: perché tanta paura nel riconoscerlo anche attraverso un atto ufficiale come l'obiezione di nazionalità?
   Scriveva alcuni anni fa l'allora deputato leghista Giulio Arrighini, presentatore in Parlamento di una proposta in tal senso: «L'obiezione di coscienza dovrebbe non soltanto permettere ai pacifisti di non impugnare le armi, ma anche ai nordisti di non vestire la divisa di uno Stato e di un esercito che sono avvertiti come stranieri e occupanti». Affermazioni piu che razionali, insomma, volte a sottolineare quel primato dell'individuo sullo Stato che in Italia sembra non essere mai stato recepito. Non a caso la nostra epoca «vede crescere le libertà - proseguiva Arrighini - e diffondersi i metodi non violenti di lotta politica: con questa proposta dell'obiezione di nazionalità noi diamo allo Stato italiano l'opportunità di mostrarsi particolarmente civile, rispettando i diritti di tutti quei giovani che sono pronti ad addestrarsi per difendere le proprie case, la propria terra e anche a far parte di un sistema difensivo europeo, ma che non desiderano vestire l'uniforme dell'esercito italiano perché consideriamo la Repubblica italiana un'istituzione loro estranea, quando non apertamente avversa».
   Ricalcando le parole dell'economista parigino Bertrand Lemennicier (secondo cui «gli unici veri Francesi sono gli immigrati»), allora, ci sentiamo di dire che gli «unici veri italiani sono gli immigrati»: loro soltanto, infatti, sono italiani in seguito a libera scelta, solo loro hanno avuto la possibilità e la voglia di chiedere la cittadinanza italiana. A noi questa possibilità e questa scelta non sono mai state concesse: noi siamo considerati italiani semplicemente perché abbiamo avuto la sventura di nascere entro gli attuali confini della Repubblica italiana. Eppure, nell'unica occasione in cui ci è stato consentito di esprimere un'opinione (ovvero la storica marcia sul Po del 15 settembre 1996) abbiamo detto a chiare lettere che dell'Italia non ne vogliamo neanche sentir parlare: noi siamo e ci sentiamo Padani.
   Sarebbe più che giusto, insomma, concedere a chi non prova un sentimento di appartenenza alla turrita repubblica la facoltà di apprendere l'uso delle armi presso altri paesi piu civili. E sarebbe più che giusto anche concedere a chi preferisce lavorare l'opportunità di farlo: per sè e per la propria famiglia, però non per gli amici del Presidente del Consiglio. In altre parole, la leva obbligatoria (militare e civile) è un palese abuso del Governo nei confronti dei cittadini, perché li obbliga per poco meno di un anno a impegnare la propria testa e il proprio corpo in azioni non liberamente decise e al servizio di uno Stato non necessanamente amato.
   E poi, oggettivamente, la propaganda a favore della leva assume sempre più spesso toni truci e militaristi. Certo, è facile parlare di "difesa della patria" quando, seduti in poltrona, si ammirano le sconvolgenti immagini dei bombardamenti americani in Iraq: ma non è altrettanto facile subirli, quegli stessi bombardamenti, o anche solo premere il bottone per il lancio dei missili. La guerra, come scrive Henry David Thoreau in alcune tra le sue pagine migliori, è una delle occupazioni meno degne dell'uomo, perché trasforma un individuo pensante in un fortino di armi ambulante. Alla luce di tutto ciò, è ancora più forte l'avversione di tutti noi di fronte a chi vorrebbe obbligare i giovani "italiani" a prestare i propri servigi nell'esercito. Ed è difficile condannare quelle persone, a partire dai tanto disprezzati disertori, che hanno avuto il coraggio di dire ciò che pensavano, a costo di rimetterci l'onore. Acquistano un'importanza centrale, allora, tutte le battaglie civili volte a ripristinare un po' di rispetto della dignità umana in un mondo in cui, a causa delle smanie espansionistiche di questo o quello Stato nazionale, si contano (solo nell'ultimo decennio) ben 40 milioni di morti tra i militari e la bellezza di 170 milioni di morti tra civili innocenti. Tra queste battaglie fondamentale è quella per l'abolizione della leva obbligatoria e il riconoscimento del diritto all'obiezione di coscienza e di nazionalità: si tratta di accettare che qualcuno possa preferire la pace alla guerra e la vita alla morte.
   Nonostante l'articolo 52 della (loro) Costituzione.
 
 

Carlo Stagnaro
 

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