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Martino, le armi e il 25 aprile
25 Aprile, giornata della memoria, della liberazione, del ricordo. Decine di
migliaia di persone hanno sfilato in tutte le città d'Italia. Chi a sostegno
delle sgangherate istituzioni repubblicane, chi contro il fascismo, chi a
favore della libertà e chi brandendo slogan minacciosi proprio verso quel
fragile valore. Tutti, forse inconsapevolmente, hanno marciato a sostegno
del Ministro della Difesa Antonio Martino. Pochi giorni addietro, infatti,
egli ha manifestato il proprio apprezzamento per il Secondo Emendamento
della Costituzione americana, che sancisce il diritto degli individui a
detenere e portare armi. "La legislazione restrittiva in materia di
possesso
di armi ha disarmato quanti obbediscono alle leggi, non ha disarmato i
delinquenti", ha affermato ai microfoni di Radio Radicale.
E ancora: "Quando sono state introdotte queste restrizioni, io non ho visto
file alle questure di mafiosi che consegnavano la lupara o di terroristi che
consegnavano il kalashnikov. Ho visto ufficiali in pensione che consegnavano
la pistola d'ordinanza. Noi abbiamo disarmato quelli che obbediscono alla
legge e, di fatto, abbiamo finito con il lasciare armati quelli che non
obbediscono alle leggi". Ebbene, forse non tutti sanno che la legge che ha
disarmato i cittadini italiani onesti venne approvata nel 1931 sotto il
regime fascista. Né si trattò di un caso isolato: tutti i totalitarismi si
sono avvalsi di norme simili per ridurre all'impotenza i contestatori.
Hitler sottrasse le armi ai tedeschi (e, prima di tutti gli altri, a quelli
di origine ebraica) e lo stesso avvenne in Unione Sovietica, Cina, Turchia,
Cambogia e via dicendo. Il tutto si è tradotto nella morte di decine di
milioni di uomini e donne innocenti, massacrati dai loro stessi governi. Di
fronte al regime fascista, alcuni (non moltissimi, per la verità) coraggiosi
presero le armi - illegalmente - e ribellarono.
Questo è stato, in alcune regioni italiane, il fenomeno della Resistenza -
che nulla ha a che vedere col successivo tentativo di alcune squadracce
comuniste di costruire il proprio regime sulle macerie di quello appena
abbattuto. Commemorare la lotta di liberazione dal fascismo significa
riconoscere che, prima e al di sopra della legge dello Stato, esiste una
Legge, per così dire, scritta nelle stelle; prima e al di sopra dei diritti
concessi o negati dallo Stato, esistono dei Diritti naturali di cui gli
uomini godono in virtù del fatto stesso di essere nati. Tra questi diritti
vi sono la vita, la libertà e la proprietà e, di conseguenza, il diritto di
difendere se stessi e i propri beni con ogni mezzo. Anche con la violenza,
anche con le armi. Antonio Martino, che conosce bene la realtà dell'America
profonda, sa che la possibilità di essere armato è per un individuo non solo
una tutela contro la criminalità comune, ma anche un'assicurazione contro l'
involuzione tirannica del governo cui è soggetto. In effetti, stupisce il
fatto che tutti i critici abbiano attaccato il Ministro della Difesa
brandendo dati e statistiche (non sempre veritieri e di cui quasi mai è
stata citata la fonte) ma abbiano completamente trascurato le implicazioni
morali delle sue parole.
Un uomo armato è un uomo libero; un uomo disarmato è costretto ad affidare
la propria libertà a chi detiene il monopolio della violenza e a sperare in
Dio. Inoltre, negare il diritto di essere armati significa anche impedire
agli uomini di difendere i propri diritti e, quindi, ridurre questi ultimi a
una pura espressione dialettica o, nella migliore delle ipotesi, a un
generoso privilegio concesso dal sovrano. Infine, vi è un difetto fatale
nella pretesa di definire i diritti umani (tra cui quello di essere armati)
in base alle statistiche. Esse ci mostrano quanti sono stati i criminali e
come hanno colpito. Dire che i diritti dipendono dal loro comportamento
equivale ad affermare che la libertà degli onesti dipende dall'arbitrio dei
delinquenti e che, in ultima analisi, sono questi ultimi a definire le
regole che tutti gli altri dovranno rispettare. Significa in sostanza
stabilire un "contratto sociale" assai poco ortodosso: "o la
borsa, o la
vita".
Tutto ciò era ben chiaro a Martino quando si è espresso a favore del Secondo
Emendamento, ed è anche, forse inconsapevolmente, chiaro a quanti hanno
celebrato il 25 aprile. Per qualche oscura ragione, però, pare che queste
argomentazioni si dissolvano come neve al sole quando, dai dolorosi anni
della guerra, si procede verso l'attualità. I due pesi e le due misure sono
da sempre una caratteristica peculiare degli statalisti, ma ferisce vedere
ogni principio morale e ogni forma di coerenza contraddetti in modo così
clamoroso. Non si può giocare con la vita e la sicurezza della gente. Le
anime belle che, protette da costosi sistemi antifurto e magari da guardie
del copro armate, pontificano contro il possesso privato di armi da fuoco
tradiscono lo spirito genuino della Resistenza e sono corresponsabili di
ogni rapina, ogni stupro e ogni violenza.
Carlo Stagnaro
http://www.forces.org/stagnaro
Elogio della proposta di
Antonio Martino
di Alberto Mingardi
Il bello di Antonio Martino è che ogni tanto si dimentica di essere
ministro, e smessi gli abiti paludati del titolare della difesa, ritorna se
stesso. Ritorna quello spiritaccio libertario cui vogliamo bene, e che stimiamo.
E’ successo lunedì pomeriggio, quando dalle frequenze di Radio Radicale, il
professor Martino butta lì: una legislazione così restrittiva sul possesso di
armi, quale quella che abbiamo in Italia, favorisce soltanto i criminali. Apriti
cielo: l’internazionale del buonismo, frustrata e offesa dall’impertinenza
degli elettori francesi, lo prende di mira. “Dichiarazione grave”.
“Sarebbe come nel far west”. “Ministro western”. “Martino John Wayne”.
Variazione sul tema, “il Charles Bronson de’ noantri”.
Massimo Gramellini, sulla Stampa, sferra un affondo pericoloso. Se la proposta
di Martino acquistasse corpo, diventasse legge, rischieremmo una catena di
“futili lutti”. Perché? Perché gli europei stanno affrontando la “più
grande ondata migratoria degli ultimi secoli”, e guai a blindare la porta di
casa, spianare il fucile e magari (persino) votare Le Pen. Traduzione: quelle
famiglie della bergamasca e del Nord-Est, che subiscono ormai con puntualità
svizzera gli assalti di questa o quella banda di albanesi, porgano l’altra
guancia. E spalanchino buoni buoni la cassaforte. Carlo Leoni, esponente di
rincalzo dei Diesse uscito dal cilindro di Repubblica, spiega che non crede che
Martino sia a libro paga di una fantomatica “lobby delle armi”. E per questo
la sua dichiarazione è “ancora più inaccettabile”: insomma, se Beretta o
chi per lui staccasse un succulento assegno, i Diesse potrebbero ripensarci.
Fino ad allora, è una pazzia.
L’idea che i cittadini possano difendersi da soli, cioè: l’idea che i
cittadini possano difendersi, è vista come il fumo negli occhi da parte di
tutte le forze politiche. Il miraggio è quello di un mondo in cui le casalinghe
sparano alla cassiera che dà il resto sbagliato, in cui gli avvocati freddano
quei clienti che indietreggiano alla vista della parcella. Sarebbe davvero così?
Basta confrontare il tasso di omicidi in Svizzera, “paese armato”, con
quello degli altri Paesi europei. Nella Confederazione elvetica, nel 1994 si
sono verificati 1,32 omicidi ogni 100.000 abitanti. Di questi, 0,58 (il 44%) si
sono svolti con un’ arma da fuoco. In Italia, nello stesso anno, il tasso di
omicidi galleggiava sui 2,25 ogni 100.000 abitanti (1,66 con arma da fuoco). Le
conclusioni le tiri il lettore.
Quello che a me sembra evidente, soprattutto alla luce di alcuni fatti recenti
(pensate al drammatico succedersi di attentati kamikaze in Israele), è che non
serve e non basta una pistola per uccidere. Più che altro, inventarsi una
regolamentazione severa per il possesso di armi non fa che esacerbare la
violenza. Lasciamo perdere i giochi di prestigio, i contorsionismi verbali della
stampa politically correct. Scopriremmo, ad esempio, che uno studio condotto
dalla Wisconsin University nell’autunno del ’75 è arrivato alla conclusione
che “le leggi sul controllo delle armi non hanno alcun effetto individuale o
collettivo sulla riduzione del numero di crimini violenti”. Un’altra
indagine, effettuata in Gran Bretagna dall’Università di Cambridge nel 1971,
rivela come in quel Paese il numero di omicidi commessi sia addirittura
raddoppiato nel volgere dei quindici anni successivi alla produzione delle
pistole.
Stupisce per la profondità dell’analisi, e il cocktail di grafici e dati,
“More Guns Less Crime”, ponderoso saggio di John Lott (School of Law, Yale
University) che, uscito per i tipi della University of Chicago Press, ha
capovolto i termini del dibattito americano su questo tema.
Lott passa in rassegna il tasso di criminalità nei vari Stati americani, e ne
viene fuori che, numeri alla mano, l’incidenza della criminalità è inferiore
proprio dove la legislazione sulle armi è meno severa. Lott prende in esame sia
le realtà in cui vigono regole discrezionali (sul modello italiano, per
intenderci, dove per avere il porto d’armi devi passare l’ispezione del
prefetto), sia quelle in cui invece non c’è una regolamentazione
discrezionale (è richiesto soltanto di non avere precedenti penali). Ebbene,
nei primi nel 1992 si sono verificati 684,5 crimini ogni 100.000 abitanti –
nei secondi 378,8: la differenza non è da poco.
Non solo, ma risulta evidente che l’adozione di una regolamentazione
non-restrittiva è l’unico provvedimento capace di influire seriamente sul
tasso di criminalità. Essa causerebbe in media una flessione del 4,9% dei
crimini violenti in generale, nonché una riduzione del 7,7% degli omicidi:
quando un ipotetico aumento di cento punti percentuali del tasso di arresti
porterebbe soltanto a un livellamento dello 0,98% dei crimini, e a una
diminuzione dell’1,39% del numero di omicidi ogni 100.000 abitanti.
Fin qui la “cultura del far west”. Diamo uno sguardo alle “socieà
superiori”, e disarmate: l’Unione Sovietica approvò il controllo delle armi
nel 1929. Fra il 1929 ed il 1953 circa venti milioni di dissidenti politici,
inermi, vennero sterminati. La Turchia lo fece nel 1911, e dal 1915 al 1917
vennero sterminati un milione e mezzo di armeni. La Germania lo fece nel 1938, e
dal 1939 al 1945 tredici milioni di ebrei, zingari, malati mentali, e individui
“eterodossi” vennero fatti fuori. L’Uganda ha proibito le armi nel 1970, e
dal 1971 al 1979 trecentomila cristiani, inermi, sono stati uccisi.
E’ vero, sulla libertà di armarsi si disputa un derby civiltà-barbarie.
Antonio Martino gioca nella squadra della civiltà.
24 aprile, tratto
da Libero
tratto da VirusIlGiornaleOnline
185
Colpi di fucile
Duello
in rete sul commercio di armi
Gentile navigatore, la
campagna di raccolta adesioni sta per scadere. Abbiamo ancora qualche giorno per
dare anche noi una mano per garantire il controllo sulla vendita di armi
pesanti. Di seguito le indicazioni.
Grazie Rosanna Tortorelli - Milano.
Obiettivo10mila firme. Lunedì 8 aprile la Camera si pronuncerà sul ddl 1927
che svuota la legge 185.
Facciamoci sentire! La campagna iniziata 6 settimane fa contro il ddl 1927 e per
la difesa di una legge civile e democratica come la 185/90 che ci garantisce un
minimo di informazione e di controllo sulla vendita di armi pesanti è stata un
grande successo. Qualche giorno fa abbiamo superato le 8000 adesioni online,
oltre 3 mila sono di associazioni ed enti, calcoliamo che il numero totale delle
adesioni espresse in quelle 8150 firme elettroniche superi le 50 mila persone.
Questo basta a farne la più grande mobilitazione internet italiana. Sono
partiti oltre 3000 messaggi indirizzati via email ai parlamentari, e dal nostro
sono stati scaricati oltre 1000 moduli da spedire via fax. Ebbene, lunedì un
parlamento ignaro, o colpevolmente indifferente, deciderà (leggete a tal
proposito gli articoli di Marescotti sul sito di peacelink). Facciamo il
possibile per arrivare a 10mila firme on-line da gettare nell'emiciclo di
Montecitorio lunedì mattina.
COSA FARE?
Spedisci questo messaggio a
tutti gli amici pregandoli di firmare;
PER ADERIRE online e consultare le informazioni:
http://web.vita.it/185/
Sul sito della Rete di Lilliput puoi inviare una email al/la parlamentare del
tuo collegio per segnalargli/le la tua posizione:
http://www.retelilliput.org/
----------------------------------Meritano
una risposta!!!!!!!!!!!
Il diritto a portare le armi
è il primo dei diritti, almeno per un uomo che aspira a rimanere libero! Voi,
con le vostre campagne vi ponete, seppur involontariamente, dalla stessa parte
di dittatori criminali. Un uomo inerme è più fragile e meno libero!
Roberto Enrico Paolini
E che c'entra con i
mercanti????!!!!!!!!!
Movimentoriforme.
Roberto Enrico Paolini
Movimentoriforme.
Alberto Mingardi
Movimentoriforme.
Non esistono mercanti
"clandestini", solo leggi assurde che li rendono tali.
Alberto Mingardi
Grazie per le informazioni
utili, ma i negozi allora cosa sono e a cosa servono?
In america dove si comprano visto che le armi le hanno moltissimi cittadini?
Evviva quelli che ti spiegano le cose come sono, poi, se del caso, burberamente
ti assalgono.
Tanto non è che mo' pure le armi comprate dove e da chi, sia un'ideologia.
Se no di che parliamo?
Movimentoriforme.
Qualsiasi scambio e' per
definizione consensuale e giusto. X vende, Y compra: si incontrano perche'
ognuno dei due da' all'altro qualcosa che questi desidera. Lo Stato si arroga il
diritto di definire alcuni scambi "illegali" perche' riguardano
attività che esso intende "disapprovare", o perche' pongono un serio
problema alla sua esistenza (e' evidente che se fosse possibile per tutti
armarsi, la società avrebbe ben altra forza di contrattazione nei confronti
delle prepotenze dei pubblici ufficiali), oppure perche' vengono ritenute
"immorali" dal pensiero dominante (penso alle droghe, in alcuni casi
alla prostituzione, alla pornografia, al fumo, alla sodomia, eccetera). Il
problema sta tutto qui. Lo Stato si inventa licenze, e ogni genere d'ostacolo,
nei confronti di chi vuole comprare una pistola per poterlo derubare con suo
agio. La stessa idea di una vendita legale ed una no a livello internazionale e'
fatta per privilegiare una o un'altra parte nel conflitto - e se estesa, sarebbe
ancora piu' pericolosa di oggi. L'Onu potrebbe decidere che e'
"legale" vendere le armi agli ebrei (in quanto sono uno Stato) ed
"illegale" venderle ai palestinesi (in quanto non lo sono). O potrebbe
decidere che e' "legale" vendere armi ai palestinesi ed agli ebrei no.
In ogni modo, sono ingerenze che la comunità internazionale non puo'
permettersi, a meno che non si decida di voler imporre al mondo la statualità,
la democrazia, in ogni caso l'arbitrio.
Alberto Mingardi