La nuova politica di Bush jr.
di Alberto Mingardi
Una certa forma di “buonismo”, piu’ o meno dovuta alla storia
(e alla mitologia) della seconda guerra mondiale, ha portato troppo spesso i
liberali europei a sposare acriticamente una politica estera “atlantista”, o
comunque appiattita sulle posizioni statunitensi.
Anche quando dagli USA venivano impulsi dichiaratamente
“guerrafondai”; cosi’, per uno strano scherzo della storia, gli innamorati
della liberta’, quelli che con Frederic Bastiat sostenevano nei primi anni
dell’Ottocento che il mercato fosse l’antidoto naturale alle tentazioni
della guerra di conquista, si sono trovati a sostenere varie forme di
sfruttamento e
oppressione paragonabili a quelle esercitate dai loro avversari, di destra
o di sinistra che fossero. Se non peggiori: perche’ mascherate sotto etichette
politicamente
corrette.Si pensi per esempio al recente “intervento umanitario” in Kossovo:
un
giornalista italiano, Alberto Pasolini Zanelli, l’ha definita “la
guerra piu’ stupida del secolo dopo la spedizione italiana in Grecia” (che,
per chi non lo ricordasse, si rivelo’ un’ulteriore dimostrazione di
quanto le virtu’ militari del fascismo andassero poco oltre
l’organizzazione di marcette e carnevalate varie).
Eppure il bombardamento delle citta’ serbe ha avuto l’autorevole
“endorsement” della Casa Bianca, e’ stato sponsorizzato dal segretario di
Stato Madeleine Albright la quale ha fortissimamente voluto l’esposizione
della Nato sul fronte jugoslavo. Tanto da criticare aspramente prima
l’amministrazione di George Bush senior, colpevole di non essere intervenuta
alle prime avvisaglie di secessione. Ed oggi l’ingresso a Whitehouse di
George W. Bush, il cui segretario alla sicurezza nazionale, Condoleeza Rice,
in campagna elettorale ha avuto l’ardire di chiedere un ritiro delle
truppe americane dai Balcani. Sulla stessa lunghezza e’ il segretario di
Stato Colin Powell, all’epoca un sostenitore della via “pacifica” per la
risoluzione dei conflitti nell’area “calda” del Golfo Persico.
Questi sviluppi nella politica “Washingtonian” non hanno suscitato
alcun entusiasmo in Europa, bensi’ destato forme, piu’ o meno sfumate, di
allarmismo e preoccupazione. La “vulgata” politicamente corretta ci ha
portato in qualche modo a considerare con favore la possibilita’ che
tutto il mondo sia ridotto a un protettorato americano. Cosa che si stava
puntualmente avverando, con la Presidenza di Bill Clinton.
A Clinton va riconosciuto un indubbio capolavoro di diplomazia (e
doppiezza): quando le condizioni generali avrebbero consigliato il disarmo e la
messa in soffitta della NATO, il Presidente americano e’ riuscito
sorprendentemente a rilanciare un “nuovo atlantismo”, per di piu’ avallato
dalle
Nazioni Unite.
Entra qui in gioco, appunto, la mitologia del secondo conflitto mondiale:
il quale, nelle nostre teste, non e’ semplicemente un evento storico ben
preciso, che ha visto da una parte alcuni attori politici dall’altra
altri. Semmai ha assunto le dimensioni di un “mito della creazione” del
mondo contemporaneo, artificialmente riletto non con gli occhi della storia ma
con quelli dell’ideologia. Cosi’, per dirla come un cineasta
americano, abbiamo da una parte i “bad guys” (Hitler, Mussolini, Hiroito) e
dall’altra i “good guys” venuti a salvare la baracca (Roosvelt,
Churchill, DeGaulle e, ça va san dire, Iosif Stalin). Con questa visione
“buonista” della storia s’e’ occultata la stessa realta’
dell’Olocausto: non si e’ andati a riscoprire, per dirla con Hannah Arendt,
“la
banalita’ del male”, non si e’ voluto scoperchiare il vaso di Pandora
della “partecipazione” alla Shoa e delle responsabilita’
dell’istituzione-Stato nell’accaduto (sebbene al tema abbia dedicato un
libro assai discusso Daniel Goldhagen). Ci si e’ rifugiati nel mito, e si e’
vista
nell’influenza statunitense non solo la chiave di volta del conflitto, ma
anche il “veicolo della salvezza”. L’immagine di Venere che nasce dalla
schiuma del mare e’ in qualche modo assimilabile alle bombe su Berlino:
e’ un simbolo di potenza, e’ un’allegoria della fecondazione, e le
bombe su Berlino sono state fatte passare come l’atto della rinascita della
liberta’ sul continente europeo, ad opera degli Stati Uniti/Giove.
Troppo di rado ci si e’ ricordati che sotto quelle bombe, la gente
moriva. Troppo spesso ci si e’ dimenticati che a essere colpiti dallo zelo
purificatore dell’Occidente non sono stati soltanto Hitler, Mussolini,
Milosevic o Saddam Hussein, ma in prima istanza migliaia di civili, donne e
bambini, inermi e incolpevoli.
Dopo la guerra, la polarita’ Usa-Urss per la gioia dei conservatori ha
portato a una crescita abnorme e inusitata delle spese militari
statunitensi, e dunque del “peso” del mondo militare sulla politica ed il
governo.
Spezzatasi – e non certo grazie alle “guerre spaziali” - la cortina
di ferro, dobbiamo fare i conti con una situazione inusuale: gli oppositori
del militarismo di ieri, gli hippies ed i contestatori sessantottini, sono
divenuti i fautori del militarismo di oggi. Una volta raggiunto il
Potere, le siniste l’hanno incarnato a modo loro: rendendo imperativo nelle
relazioni internazionali il tentative di “liberare l’oppresso”, salvare
le figure che oggi somigliano agli ebrei di ieri.
Non a caso Daniel Cohn-Bendit, fiero oppositore delle stragi a stele e
strisce in Vietnam, e’ stato il profeta dell’intervento nei Balcani: certo
e’ che questa “politica della liberazione”, questo interventismo a
tempo pieno dei Paesi Occidentali, presenta dei buffi effetti collaterali.
Anzitutto e’ stranamente selettivo: il Kuwait andava assolutamente
liberato dalla crudelta’ di Saddam, ma nessuno fa nulla per le migliaia di
curdi
espropriati di tutti i loro diritti non solo dallo stato iraqueno ma pure
dalla “civilissima” Turchia. I Balcani andavano salvati da Milosevic,
ma nessuno s’e’ curato di tutto il sangue versato in Cecenia dall’
“amico” Boris Eltsin.
Inoltre, l’interventismo umanitario e’ a senso unico: per salvare i
kossovari si bombardano i serbi, per liberare il Kuwait si rade al suolo
l’Iraq. Sembra che ci siano tipologie di individui che soffrono e, financo,
“muiono” di meno di altri.
Cio’ che e’ drammatico e’ che queste politiche siano state approvate
silenziosamente dai liberali presenti nei Parlamenti europei. Negli stessi
Stati Uniti, contestare le velleita’ di Washington di fare lo sbirro
della globalizzazione era compito fino a poco fa lasciato al solo Pat
Buchanan, esponente della destra estrema. Pero’ qualcosa si sta muovendo:
l’arrivo di Bush a Whitehouse puo’ ristabilire almeno in parte quella che
fino
alla seconda Guerra mondiale e’ stata per definizione “la” politica
estera della Destra made in US, cioe’ l’isolazionismo. E’ per questo
che si battono i libertari americani, da sempre spietati nel denunciare gli
abusi del Pentagono: sull’intervento in Kossovo, e’ stato il Cato
Institute (http://www.cato.org)/ a produrre
quei materiali che hanno convinto
i repubblicani a votare contro. Non solo: e’ stato Murray Rothbard, massimo
teorico del libertarianism, a parlare per primo di welfare-warfare state,
sottolineando come (a dispetto delle teorie neoconservatrici) interventismo
in politica estera e in economia vadano a braccetto.
L’abbandono del Nuovo Ordine mondiale, e la ricerca di un ordinamento
internazionale pluralista e basato sul libero mercato anziche’ sulle bombe,
e’ una battaglia di importanza vitale per la liberta’ di tutti.
Bisognerebbe importare ovunque il “neutralismo” svizzero. E’ questa la
lezione libertaria: perche’, come ha scritto Raldolph Bourne, “la guerra
e’
la salute dello Stato”.
Alberto Mingardi