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L'insopportabile peso dello stato  

Leonardo Facco Editore

C¹era una volta il libretto rosso, che era una specie di "Capitale" versione
portatile: pensieri e note di Mao, a tempi del Sessantotto e della
contestazione, spuntavano dai taschini degli studenti in rivolta, e stavano
in bella mostra sugli scaffali delle famiglie per bene. Adesso che il
comunismo ha segnato il passo (perlomeno, noi ci speriamo), sta alle
correnti di pensiero rimaste in piedi, quelle che si sono salvate
dall'Hiroshima delle ideologie, dare alle stampe qualcosa di analogo. Sì, un
libretto, non rosso s'intende, dove trovino spazio voci e intonazioni
diverse, ma capaci di cantare in coro i modi e le forme della libertà.
Diciamo un libretto blu.
E proprio un "libretto blu" è l¹ultima fatica editoriale della Leonardo
Facco Editore, che raccoglie i contributi emersi in un convegno organizzato
dal Centro Italiano Documentazione Azione Studi di Torino, il quale è stato
- negli ultimi vent'anni - una piacevole costante della destra che pensa. Il
volume si può ordinare allo 0335-8082280 (o dando una sbirciatina al sito
www.libertari.org), e s'intitola "L'insopportabile peso dello Stato", il che
è già una programma, meglio: una promessa. Pienamente mantenuta pagina dopo
pagina.
A cominciare dalla bella testimonianza di Sergio Ricossa ("Al di là del
liberismo"), che del libro e di chi l¹ha scritto è un po' il manifesto.
Ricossa rilancia con fierezza il valore di un "anticomunismo viscerale" che
non scivoli però né in un conservatorismo a senso unico, né in un
liberalismo alle vongole. L'economista torinese è diventato il
primus-inter-pares dei "pazzi libertari, fieri della propria follia". Che
consiste in nient'altro se non in questo: "Noi non siamo al governo e mai ci
saremo. Siamo contro il potere politico, ogni potere politico. Non abbiamo
un governo-ombra, non abbiamo un programma di governo alternativo. Noi
abbaiamo contro ogni governo".
Non a caso Natale Molari, presidente del centro studi torinese, ha voluto
premettere al volume un "memento": si tratta di un brano tratto da una
conferenza di James M. Buchanan, Premio Nobel per l¹economia, tenuta al
CIDAS alcuni anni orsono. Anche Buchanan, studioso di rango ma lontano dai
toni anarchicheggianti di un Ricossa, nota come si arrivi a un punto dopo il
quale diventa difficile sopportare il peso dello Stato. "Un conto è essere
tassati al 10, un altro al 90 per cento": c'è un limite oltre il quale si è
autorizzati a parlare di schiavitù.
Ma quello, pur autorevolissimo, di Buchanan non è l'unico contributo
internazionale e di rilievo che impreziosisce il volume. Fra tutti spicca lo
scritto di Pascal Salin, economista francese ed editorialista de "Le Figaro".
"Dobbiamo sapere e proclamare", annuncia Salin, "che lo Stato è nostro
nemico, non dobbiamo esitare a ripetere senza sosta che lo Stato non è un
buon produttore di regole e che esso è solamente, secondo Bastiat, questa
grande finzione per la quale ciascuno cerca di vivere alle spese degli
altri".
Ecco l'essenza di questo "libretto blu": è tutto un inno alle libertà
dell¹individuo, contro l¹invadenza oppressiva dello Stato. Perché solo
l'Uomo, solo il singolo, pensa, solo il singolo agisce. "E solo lui è
responsabile, perché le responsabilità sono di rigore individuali",
puntualizza il filosofo francese Alain Laurent.
"L'insopportabile peso dello Stato" si propone allora come un efficace
breviario del pensiero libertario, non senza qualche contributo che un po'
stona e puzza di compromesso, ma poco male, i libertari sono abituati al
confronto.
Ed allo scontro, s¹intende: come Guglielmo Piombini, che da politologo
ultra-liberista non ha paura di mettere sotto accusa il rapporto di
connivenza fra grande impresa e Potere, andando a ripescare addirittura
certi socialisti dimenticati, ma che sapevano sognare.
Oppure come Carlo Lottieri (filosofo del diritto in forza all'Università di
Siena), cui non manca il coraggio di denunciare la "storicità" dello Stato.
Mica vero che esso sia come il sole, che invariabilmente sorge e tramonta.
Semmai è un incidente di percorso, un sentiero buio da cui si può uscire.
Per trovare un modello cui ispirarsi, bisogna guardare ad altre realtà
diverse dalla nostra: per esempio ai primi anni di vita degli Stati Uniti,
quella "Repubblica dei diritti naturali" cui Luigi Marco Bassani (storico
dell'Università di Milano) dedica parte di un saggio bello e approfondito,
"Sovranità e giusnaturalismo: come si esce dalle rivoluzioni". La via
americana di pace, prosperità e libertà contrapposta alle guerre, alla
miseria, alla schiavitù nel segno del giacobinismo. Dimenticare Robespierre
e riscoprire Jefferson: è questa, insomma, la lezione del CIDAS.

Alberto Mingardi

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