L’Italia, cresciuta com’è a pane,
amore e propaganda ha uno strano modo di guardare ai paesi stranieri.
Forse per una sorta di complesso di inferiorità represso, infatti, si
considera sempre più brava, più buona e più bella degli altri e non
fa altro che ostentare la propria presunta superiorità, salvo poi
rendersi conto e sapendo dentro di sé che le cose stanno ben
diversamente.
Prendiamo ad esempio gli Stati Uniti: non saranno certo un Paradiso terrestre (ma ci sarà mai, questo Paradiso terrestre, o è piuttosto una contraddizione in termini?), ma non sono neppure quella schifezza che traspare dai telegiornali di Stato. E’ abbastanza ridicolo, in effetti, credere che realmente oltreoceano siano tutti faciloni e privi di valori, che pensino solo al vil metallo, che davvero le ambulanze lascino i malati per terra se non trovano la carta di credito nel loro portafoglio. E poi, siamo sinceri, chi di noi non pensa ai soldi? E’ una verità (ed è perfettamente comprensibile) che ogni persona minimamente razionale preferisca il benessere al malessere, un lavoro ben retribuito all’accattonaggio, una bella casa a una branda sotto un ponte. Se insomma guardiamo alle cose come sono
realmente, ci accorgiamo che i fatti sono ben diversi da come ci vengono
presentati. Quante volte abbiamo sentito dire che la società americana
è estremamente violenta, che là “tutti girano armati” e che le
donne hanno tutte le tette rifatte? Questa, però, è l’opinione di
chi attinge le proprie informazioni dai telegiornali e da Baywatch o,
nel migliore dei casi, ritiene che il film Trappola di cristallo dipinga
una scenetta abituale per i cittadini Gli europei sono tendenzialmente portati a condannare questa libertà che viene lasciata ai cittadini americani: ma come, se tutti girano armati non si rischia di innescare una terribile spirale di violenza? Il dibattito tiene da tempo banco anche negli stessi States, dove sono peraltro numerosissime le associazioni pro gun (cioè contrarie alla regolamentazione). La principale fra esse è la National Rifle Association, presieduta dal noto attore Charlton Eston e di area repubblicana. Fanno riferimento ai democratici, invece, le lobby favorevoli ad una limitazione del diritto di essere armati. Il problema non è certo di facile risoluzione, ma merita di essere approfondito anche perché, dopo i tragici fatti degli ultimi tempi, qualcuno ha osato sollevarlo anche nel paese che schiavo di Roma Iddio lo creò (poropòn poropòn poroponponponponpò). Secondo i libertari e i liberali classici ogni uomo ha diritto alla proprietà privata. Si tratta di un diritto di natura e, quindi, preesistente e superiore a qualunque legge di Stato. Non è dunque accettabile, almeno in un’ottica di questo genere, alcuna limitazione di tale diritto: in particolare, non vi è alcuna ragione di ritenere le armi “un caso a parte”. In sé, il fatto di avere una pistola non è granché diverso dall’avere una spada, un coltello, un tritacarne o un poster di Zucchero. Bisogna infatti capire che “nessun oggetto fisico - scrive Murray Rothbard - è di per sé aggressivo; qualsiasi oggetto, sia esso una pistola, un coltello o un bastone può essere usato per aggredire, per difendersi o per molti altri scopi che non hanno nulla a che fare con il crimine”. Non solo: una volta accettato il diritto a disporre come meglio si crede della propria persona e dei propri averi, è automatico ammettere il diritto a difende tanto l’uno quanto l’altro da eventuali aggressioni e, di certo, in questo le armi possono risultare fottutamente utili. Ma non vi sono soltanto ragioni etiche (che pure sarebbero sufficienti) per giustificare il diritto di essere armati: è assai interessante anche un discorso di carattere utilitaristico. Nel momento in cui i politici decidono di promulgare una legge con cui limitare la detenzione di armi, essi trascurano un fatto importantissimo: di certo i cittadini onesti (quelli che subiscono i crimini) la rispetteranno, ma siamo sicuri che la rispetteranno anche i cittadini disonesti (che i crimini li commettono)? E’ del tutto evidente che si tratta di una domanda retorica, la cui unica riposta possibile è: no, anzi, siamo convinti che - dopo aver brindato e gozzovigliato alla salute dei politici e dei gonzi - delinqueranno più volentieri e più facilmente, ben sapendo che d’ora in poi dovranno stare attenti solo alle forze dell’ordine (palesemente inefficienti). Se invece ci fosse una probabilità non trascurabile di aggredire un cittadino armato, ci penserebbero due volte prima di compiere il misfatto, ben sapendo che la percentuale di rischio nell’aggressione sarebbe molto più elevata. Nel senso che, ad esempio, oggi è purtroppo piuttosto frequente sentire di donne o ragazze stuprate: ma la semplice possibilità che la pulzella in minigonna abbia una pistola nella borsetta fungerebbe da ottimo deterrente nei confronti di maniaci e squilibrati. Il concreto rischio di una reazione da parte di una preda non più indifesa, insomma, avrebbe un effetto ben superiore a quello di una tonnellata di bromuro. Come afferma lo scrittore di fantascienza L. Neil Smith, “se qualcuno vuole prendersi i tuoi diritti, la tua proprietà o la tua vita gli rende la vita un inferno il fatto che tu sia armato”. Ancora più suggestive sono le argomentazioni addotte da Janalee Tobias, anima di Women against gun control, un’associazione di donne favorevoli alla liberalizzazione del porto d’armi. Al grido di “le armi sono il miglior amico di una donna”, la Tobias chiede a tutte le appartenenti al gentil sesso: “ti trovi faccia a faccia con uno stupratore. Che fai? Chiami la polizia? Gridi aiuto? Corri? Ingaggi un incontro di wrestling sul pavimento? Buona fortuna…”. Di più: la possibilità di essere armati è anche un ottimo incentivo all’altruismo. Ricerche condotte in America sulla base di un confronto tra quegli Stati che applicano una pesante regolamentazione e quelli che invece lasciano una maggiore libertà dimostrano che non solo in questi ultimi i delinquenti sono spesso costretti a restare a bocca asciutta, ma addirittura che è ben maggiore il numero di “buoni samaritani”. Se sono disarmati, i cittadini lasceranno volentieri alla polizia il compito di difendere i propri simili, ma se hanno con sé una rivoltella, sentendosi più sicuri, tenderanno a soccorrere chi si trova in difficoltà. Se le parole non bastano a convincere gli scettici, lo faranno i numeri: è stato infatti rilevato che oltre l’80% dei coraggiosi soccorritori era armato. Resta infine una considerazione di carattere, per così dire, sociologico. Generalmente i fautori della regolamentazione sono cittadini benestanti che vivono in quei quartieri dove le forze dell’ordine sono più attive. E’ ormai un articolo di culto, tra i libertari statunitensi, quello pubblicato da Don B. Kates, Jr. in difesa di un’interpretazione molto letterale del secondo emendamento. “La proibizione delle armi da fuoco - scriveva il professore della St. Louis University - è il frutto dell’ingegno dei liberals (i progressisti, ndr) bianchi appartenenti al ceto medio, i quali ignorano la situazione dei poveri e delle minoranze che vivono in zone in cui la polizia ha rinunciato a contrastare il crimine. Al sicuro nei loro sobborghi sorvegliati dalla polizia o in appartamenti dotati di antifurto e protetti da guardie private (che nessuno propone di disarmare), i liberals ignari deridono il possesso di armi definendolo anacronismo da vecchio West”. Kates, poi, metteva in evidenza come al centro delle preoccupazioni di costoro vi sia l’intenzione di evitare il ferimento o, al limite, l’uccisione dell’aggressore. Trascurando due dati assai rilevanti: in primo luogo che, molto spesso, il cittadino aggredito e disarmato in determinati frangenti ricorre quasi istintivamente a soluzioni ben più radicali e violente. E poi che, in ogni caso, la scelta del modo in cui difendersi è un sacrosanto diritto della vittima. “Evitare il ferimento - proseguiva Kates - è di enorme e vitale importanza per un accademico liberal bianco che ha un ricco conto in banca”: ma la prospettiva cambia radicalmente per chi quotidianamente deve vedersela coi conti che non tornano anche a causa delle tasse e della criminalità. E poi, detto chiaro e tondo, la resistenza senza armi è assai più pericolosa per l’aggredito: ma chiunque abbia a cuore i diritti individuali non può non mettere su due piani differenti il ferimento del criminale e quello della vittima. Le parole di Kates sembrano ritagliate apposta per il ministro dell’Interno, Rosa Russo Jervolino, che ci ha più volte intrattenuti sulla querelle dai microfoni amici della Rai. Di sicuro per lei non è un problema girare disarmata, poiché siamo noi (volenti o nolenti) a pagarle la scorta e la macchina con vetri antiproiettile e tutte le altre misure di sicurezza. Ma per molti lavoratori o commercianti che vivono od operano in zone a rischio le cose stanno ben diversamente: loro si trovano dall’altra parte della pistola… Riconoscere a tutti il diritto di armarsi e difendersi, allora, è una questione di civiltà e di libertà. Si tratta di operare in un’ottica di pari opportunità: tra aggressori e aggrediti. Un’ottica che è estremamente sgradita per chi, come i politici italiani, vive da parassita e da predatore ai danni dei lavoratori padani. Negli Stati Uniti d’America, tanto deprecati dall’informazione pubblica, c’è un emendamento che recita che “essendo necessaria alla sicurezza di uno Stato libero una ben organizzata milizia, non si potrà violare il diritto dei cittadini di possedere e portare armi”. E’ troppo chiedere anche da noi un pari rispetto dei diritti e della dignità delle persone? Carlo Stagnaro |