Il vero cristiano è anarco-capitalista

Non tutti i cristiani accettano Ia compatibilità tra i valori della propria morale e quelli del capitalismo liberale. Ancora meno sono coloro che accolgono la ben più radicale tesi che qui si cerca di dimostrare, e cioè che l'anarco-capitalismo è l'unica forma di organizzazione sociale con cui il cristianesimo non si trova in conflitto.

Per quanto la civiltà greca e romana avessero accolto concezioni filosofiche proto-liberali, concretizzatesi in istituzioni giuridiche rispettose dei diritti della persona, non si può negare che fu il cristianesimo ad introdurre, rispetto alle religioni precedenti, una fede di carattere fortemente individualistico. L' enfasi sulla salvezza individuale, l'uguaglianza di tutti gli uomini e la condanna della violenza rappresentarono altrettanti elementi a favore del riconoscimento dei diritti naturali dell'individuo in un universo in larga parte permeato da quegli opposti valori pagani, eroici e guerrieri, così rimpianti da Nietzsche.

Sappiamo che in realtà il cristianesimo fu, a differenza della dottrina libertaria fondata sui diritti naturali, un messaggio essenzialmente apolitico, mirante ad indicare non tanto ciò che l'autorità può o non può fare, quanto una filosofia di vita cui il buon cristiano si deve uniformare nei suoi comportamenti quotidiani. È certo comunque che la morale predicata da Gesù Cristo non può accettare come legittima, in nessun caso, l'aggressione contro la persona o i beni altrui.

Il rifiuto dell'uso della forza e il richiamo al pacifismo sono nelle parole di Cristo così radicali, che non solo viene condannato l'atto che dà inizio alla violenza, ma viene anche sconsigliato l'uso della forza come risposta ad una precedente aggressione, secondo il famoso precetto del "porgere l'altra guancia".

Qualsiasi forma di coercizione dell'uomo sull'uomo è quindi in contrasto con l'insegnamento evangelico, e anche l'aiuto ai più bisognosi, così enfatizzato dai cristiani, soggiace a questa regola, perché mai il Messia ha auspicato forme di assistenza che, invece di sgorgare dallo spontaneo sentimento di carità delle persone, si fondassero sull'uso della forza legale o extralegale: come la ridistribuzione forzata della ricchezza o la messa in comunione obbligatoria dei beni. Per questa ragione l'esistenza delle imposte, e quindi dello Stato stesso, molto difficilmente sembra accordarsi con la novella cristiana. Le imposte infatti violano in pieno il divieto di aggressione perché si fondano sulla minaccia di usare la violenza fisica contro i contribuenti, individui pacifici e per nulla aggressivi. Nel Vangelo secondo Matteo (17,24 ss.) compare un'interessante discussione tra Gesù e Simon-Pietro sulle tasse: arrivati a Cafarnao Gesù e i suoi discepoli vengono fermati dagli esattori, che chiedono loro l'imposta speciale dovuta da tutti gli israeliti adulti come contributo per la ricostruzione del tempio. Simone chiede a Gesù se è giusto soggiacere al pagamento della tassa. Gesù risponde: "I re della terra da chi esigono i tributi e le tasse? Dai loro sudditi o dagli stranieri sottomessi?". "Dagli stranieri", risponde Simone. "Allora noi che siamo sudditi - replica Gesù - non dovremo pagare questo tributo". Successivamente però Gesù per evitare noie decide di pagare, con una specie di miracolo, estraendo una moneta dalla bocca di un pesce appena pescato. Gesù avrebbe preferito evitare di sottostare all'estorsione, e ha escogitato lo strano pagamento solo per poter continuare la propria predicazione senza incidenti. L'episodio dimostra chiaramente che per Gesù le tasse non hanno alcuna giustificazione morale, e si pagano solo perché il conquistatore ha Ia forza di imporle al vinto.

Di tutti i pensatori, il grande scrittore Lev Tolstoj è stato quello che con maggior vigore ha messo in luce l'essenza radicalmente antistatalista insita nella dottrina cristiana: "la dottrina della rassegnazione, del perdono e dell'amore", scriveva nella sua opera Ii Regno di Dio è in voi, non può conciliarsi con lo Stato, col suo dispotismo, con la sua violenza, con la sua giustizia crudele e con le sue guerre". Anzi, "la promessa di soggezione a qualsivoglia governo è la negazione assoluta del cristianesimo perché promettere anticipatamente di essere sottomessi alle leggi emanate dagli uomini, significa tradire il cristianesimo, il quale non riconosce, per tutte le occasioni della vita, che la sola legge divina dell'amore".

"L'ordinamento sociale fondato sull'autorità - continua Tolstoj - non può essere giustificato: il cristianesimo, nel suo vero significato, distrugge lo Stato. Esso fu compreso fin dal principio ed è perciò che Gesù fu crocefisso". La sua dottrina, "riconoscendo tutti gli uomini figli di Dio, scorgendo in tutti un medesimo principio divino" non può consentire "il dominio dell'uomo sull'uomo, e neppure la sottomissione dell'uomo all'uomo", e abolisce così "tutte le leggi dei dominatori attuate mediante la violenza". Per Tolstoj quindi "la Sorgente del male è nello Stato", e "il governo è sempre, nella sua essenza, una forza che viola la giustizia".

Infatti "dominare vuol dire violentare, violentare vuol dire fare ciò che non vuole colui sul quale è commessa la violenza". Anche quando il potere governativo fa sparire le violenze interne, "introduce nella vita degli uomini delle violenze nuove, sempre più grandi, in ragione della sua durata e della sua forza".

La suprema violenza contro l'uomo è rappresentata dalla guerra, sempre provocata dai governi, e dal suo prologo: il servizio militare, "l'ultimo grado della violenza necessaria al mantenimento dell'organizzazione sociale; è il limite estremo che possa raggiungere la sottomissione dei sudditi". Con accenti che oggi potremmo definire rothbardiani, Tolstoj afferma poi che la principale, se non unica, causa della mancanza di libertà deriva dalla "superstizione dello Stato". La gente cioè ha sempre creduto che senza Stato vi sarebbe la fine della società: "Tutto ciò ha continuato così per centinaia e migliaia di anni ed i governi si sono sempre sforzati e si sforzano di mantenere i popoli in questo errore". I valori cristiani, al contrario, "distruggono internamente tutti i princìpi sui quali riposa lo Stato", che risulta impotente di fronte a chi rifiuta "il giuramento, le imposte, la partecipazione alla giustizia, il servizio militare": tutte funzioni che implicano l'esercizio della violenza, alle quali non si deve prender parte perché "il cristiano non disputa con nessuno, non attacca nessuno, non adopera violenze con nessuno" "Il potere - scrive Tolstoj nel suo saggio Agli uomini politici del 1903 - che sia nelle mani di Luigi XIV o di un comitato di salute pubblica, d'un direttorio o di un console, di un Napoleone o di un Luigi XVIII, d'un sultano, d'un presidente, di un imperatore della Cina o di un primo ministro, ovunque vi sia un potere di alcuni uomini su altri non vi potrà essere libertà, ma soltanto oppressione di questi ad opera di quelli. E perciò il potere deve essere distrutto".

Questo vale anche per il potere democratico, dato che "neppure il dominio della maggioranza sulla minoranza non può in alcun modo garantire un'amministrazione equa perché non esiste alcuna ragione per credere che la maggioranza possa essere più sensata della minoranza". Parole che ogni moderno libertario condividerebbe. In conclusione, tutti sono pronti a riconoscere che i princìpi della morale cristiana fanno parte integrante del patrimonio della civiltà occidentale, ma pochi sono coloro che si accorgono che questi valori sono in irriducibile contrasto con le istituzioni statali entro le quali l'uomo occidentale vive negli ultimi secoli.

L'anarchico cristiano Tolstoj ha il merito di aver messo in luce la contraddizione tra coercizione statale, in tutte le sue forme, e precetti evangelici. Se accettiamo l'idea che l'inizio dell'uso della violenza è immorale, e che dunque l'assioma libertario di non aggressione coincide, nel suo significato ultimo, con l'insegnamento di Cristo, allora esiste un solo ordinamento sociale coerente con i principi enunciati: l'anarco-capitalismo.

Guglielmo Piombini

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