"Conversione"
Leonardo Mondadori - Vittorio Messori, "Conversione. Una storia personale", Milano, Mondadori, 2002, € 10,00.
Il Vangelo? C'è l'elogio dell'impresa, di Alberto Mingardi
Conversione: il realismo cristiano di un uomo qualunque, di Carlo Stagnaro
Il Vangelo? C'è l'elogio dell'impresa
“Ideologicamente
ritardati”: basta questa definizione schietta del cardinale Biffi per
raccontare i mille colori dell’anticapitalismo nostrano. Dalla sinistra
massimalista alla destra sociale, sono tanti i nomi, le sigle, le etichette che
si ricamano addosso gli acchiappanuvole
dell’ideologia. Laici, laicissimi apostoli di quella religione del
consenso e del terrore che per anno zero ha il 1789. Ma anche molti cattolici,
divisi fra il richiamo del mistero e la tentazione di un abracadra umanissimo,
le magie impossibili del socialismo più o meno reale.
Ci
vorrebbe un antidoto, servirebbe una vaccinazione. Forse c’è. La si può
trovare curiosando fra le pagine di “Conversione” (Mondadori), caso
letterario del momento. Leonardo Mondadori, top manager, bon vivant, milanese da
bere, racconta a Vittorio Messori, aristocratico del giornalismo cattolico, il
suo scarpinare felice sul sentiero che porta alla Verità. Una storia
privatissima: il dono della fede, la riscoperta di quelli che si liquidano
fastidiosamente come “valori”, questo capicollare fra le braccia della
Gioia, g maiuscola, negato ai più – quelli cui mancano l’occasione, e il
nerbo, di credere.
Eppure,
in questa storia di errore e speranza, in questo dialogo caleidoscopico sui
massimi sistemi del quotidiano, spuntano insegnamenti semplici, rivelazioni
choc. “Conversione” non è un libro politically correct, proprio perché la
conversione – se non diventa un credere negli uccellini e nelle caprette,
nell’ipocrisia new age di una religione senza tonache e funzioni, in un Dio
fast-food che è solo un “personal trainer” dell’anima – non può essere
politically correct.
Questa
religiosità così rigorosa, ortodossa? sì ortodossa, di cui fa orgogliosa
mostra Leonardo Mondadori è già uno schiaffo ai preti in blue jeans, ai
missionari dell’ecumenismo, ai sacerdoti no global. Epperò i ceffoni si
sprecano, in questo libretto smilzo, anticonformista, prezioso.
La
prima sberla arriva quando Messori polverizza il mito dell’impegno,
imprescindibile puntello del “credo” del cattocomunista perfetto.
“L’impegno nella polis”, figlio e padre del primato della politica, “ha
provocato disastri terribili, con le sue ideologie rosse ,
nere e di ogni colore ,
elevate a religioni secolari e produttrici di cataste di morti e di
sofferenze inenarrabili. Non va demonizzato; ma,
con altrettanta
certezza, va demitizzato”. Parole a mezz’aria, che lasceranno
a labbra socchiuse non pochi lettori, come all’improvviso abbandonati alla
deriva, derubati della rassicurante certezza che la salvezza possa sgattaiolare
fuori da un’urna elettorale, che la virtù diventi “legge” in Parlamento.
No.
C’è un messaggio nascosto nel libro, abbozzato in controluce, tutto da
decifrare. Né la politica né l’economia sono “cristiane” per
definizione: ma fra le due, è più probabile che ci si possa incamminare sulle
orme di Gesù coltivando la seconda anziché la prima. Messori applaude al
“sano interesse concreto di ciascuno”, levatrice di prosperità e pluralismo
più di qualsiasi bene comune, e lo fa persino quando è tabù, s’inalbera in
un elogio del mercato dove questo guai se si azzarda a entrare. E’ la cultura,
che s’immagina patrimonio di tutti, da dispensarsi a ciascuno secondo i suoi
bisogni, attraverso lo Stato.
Invece
i cattolici, sussurra Messori, custodi di un serbatoio di verità potenzialmente
letali per il leviatano(“il cristianesimo, nel suo vero significato, distrugge
lo Stato”, dice Tolstoj) proprio i cattolici dovrebbero capire che
“l’ingresso della ‘cultura’ nel deprecato mercato può rivelarsi un
fattore di libertà”. “La società aperta (...) passa anche dal libro non
considerato dissimile dal fustino di detersivo, fabbricato solo se gradito a un
numero sufficiente di casalinghe”. Eccolo qui, capovolto, messo a testa in giù,
il fiero dogma del laicismo, la ragion d’essere della scuola pubblica, l’abc
di quel “comunismo intellettuale” che ha tanto successo su entrambi i lati
dello spettro politico.
Non
finisce qui: perché sarebbero solo opinioni, se Messori non spalancasse le
Scritture. Si direbbe che ha provato a riconciliare Gesù e Adam Smith, il punto
è che non ce n’è bisogno. Nel mirino, c’è la lettura pauperista dei
Vangeli, quella che Cristo sarebbe stato il primo socialista, un divino
proletario, e Marx in fondo è un velocista mentre Pietro è un maratoneta, ma
vanno nella stessa direzione.
Anzitutto,
Cristo – spiega Messori – non era certo un proletario: Giuseppe nei Vangeli
è “tékton”, falegname ma anche imprenditore, titolare di un’impresa più
media che piccola. Quello in cui cresce Gesù è insomma “un ambiente
sottratto alla povertà da un’operosità intelligente”. E non se ne distacca
negli anni della predicazione: i dodici “non vivevano alla giornata”,
avevano ricchi benefattori e un’amministrazione precisa. Un po’ come la
Chiesa di ieri e di oggi, cui ancora si rimprovera, come a San Paolo “questa
abbondanza che viene da noi amministrata”.
Non
ci può essere lotta di classe se si scruta nel cuore degli individui. Messori
ricorda persino che nella buona novella ci sono “ricchi buoni” (come tanti
amici, e seguaci, di Gesù) e “poveri cattivi”, come la massa rabbiosa che
“vota Barabba”. Il peccato è un’esperienza universale, se ne infischia
delle dichiarazioni dei redditi. E Dio guarda “al cuore, che può essere
aperto o chiuso quali che siano le dimensioni del borsellino”.
Quella
di Vittorio Messori non è accondiscendenza, desiderio di compiacere l’uomo e
ricco e potente che si trova a raccontare, a spiegare in primo luogo a se
stesso, in questo “Conversione”. E’ la voglia di scrollarsi di dosso il
giogo pesante di quella mortificazione della vita economica che si accompagna,
in certi cristiani, all’eresia di sognare il paradiso sulla terra.
Quale
sia la posizione originaria, e più vera, dei cattolici ce lo raccontano prima
che le parole, i gesti di Gesù. Come quel brandire pane e vino, corpo e sangue
di Cristo, che si ripete ogni domenica: non spighe di grano né grappoli
d’uva. Pane e vino, vale a dire grano e uva sì, ma resi più nobili e più
preziosi dal lavoro del uomo, dalla fatica delle sue mani, dalle intuizioni
della sua mente, grazie a quell’insuperabile lievito che è il capitale.
Magari
questo saggio di Messori scivolerà come gocce di pioggia, non riuscirà a
scalfire le imperturbabili coscienze dei socialisti di Dio. Però sia chiaro:
non ci sarà più buonafede che tenga. Ritardati ideologici: questo sono, erano,
saranno.
Alberto Mingardi
tratto
da Libero del 27/3/2002
Conversione:
il realismo cristiano di un uomo qualunque
di Carlo Stagnaro
Si chiama Leonardo Mondadori, ma potrebbe avere qualsiasi altro nome, l'uomo che
dialoga con Vittorio Messori in "Conversione. Una storia personale".
Un libro dedicato alla vita, narrata con serenità e senza fronzoli, di una
persona che solo per caso è il presidente del maggiore gruppo editoriale
italiano. Un padre di tre figli avuti da due diverse mogli, un marito due volte
divorziato, un poverocristo come tutti noi a cui Dio ha voluto concedere grandi
opportunità, dall'agiatezza economica alla possibilità di frequentare i
cenacoli intellettuali più esclusivi, ma che ha anche dovuto affrontare enormi
sofferenze (a partire, si capisce, dai tre tumori che avvelenano la sua vita da
alcuni anni). Leonardo Mondadori è un uomo che, dieci anni fa, si è guardato
indietro e ha visto solo disordini e fallimenti, appena mascherati dallo sfarzo
di una vita apparentemente godereccia. Un uomo qualunque, insomma, che dopo aver
cercato ogni tipo di felicità materiale avverte la mancanza di qualcosa di più
solido - di un Volto cui affidarsi. Che si rende conto di aver ridacchiato molte
volte, ma di non aver mai sperimentato l'esperienza profonda di quella gioia che
solo la fede può donare. E' di fronte a questa grazia che tutta la sua
precedente esistenza passa in secondo piano, per cedere il passo a una missione
di apostolato e testimonianza. E' tutta lì, in fin dei conti, la vicenda del
nipote prediletto di Arnoldo Mondadori. "Per me, la pratica della vita
cristiana è stata per decenni messa da parte - egli confessa. Poi, ecco la
riscoperta e l'avanzare sempre più - e sempre più con convinzione e gioia - in
questa strada evangelica ritrovata".
"Conversione" è un libro fatto di parole semplici, come tutte le
opere di Messori. Un libro in cui la parolona è sovente una parolaccia - non c'è
spazio per il "sincretismo" o l'"irenismo" o chissà che;
ogni attenzione è rivolta ai termini facili del catechismo: la comunione,
l'esame di coscienza, la messa. E' questo un libro che non si cimenta
nell'arrampicata libera sugli specchi della lettura "non letterale"
dei Vangeli per razionalizzare e meccanizzare l'incontro con Cristo, ma che
cerca nei fatti, grandi e piccoli, della vita quotidiana il riflesso della
parola di Dio. I due autori, dunque, non si vergognano di trattare argomenti
anche "scandalosi": l'indissolubilità del matrimonio, la castità, il
Paradiso e l'Inferno, il ritorno a una religiosità "antica", segnata
dalla preghiera e dalla confessione e riscaldata da una speciale devozione a
Maria. Una religiosità che può emergere in tutto il suo splendore e in tutta
la sua gioia solo grazie all'abbraccio della Chiesa Cattolica, sempre pronta ad
accogliere il figliol prodigo e ad ammazzare per lui il vitello grasso.
Leonardo, poi, deve il proprio riavvicinamento alla fede alla lettura di Escrivà
de Balaguer, fondatore dell'Opus Dei, e al suo insegnamento limpido e intriso di
un profondo, comune buonsenso. E' forse anche per questo che Mondadori non ha
subito l'"effetto San Francesco": la mania un po' kitsch e un po'
mondana, che talvolta coglie i convertiti à la page, di abbandonare tutti i
propri averi e ritirarsi su qualche cucuzzolo esotico per sperimentare
l'esperienza del dialogo con gli stambecchi e le donnole. Rischiando peraltro di
perdere prima ancora di averlo trovato il dialogo con Dio. Leonardo non corre
questo pericolo. Egli ha fatto proprio l'insegnamento del beato Escrivà:
primeggiare nel proprio lavoro e mettersi al servizio del Signore; non
rinunciare alle ricchezze ma usarle per fare il bene; non adottare uno stile di
vita esibizionista ma essere partecipi della "stranezza di non essere
strani". Insomma, non fuggire dal mondo ma viverlo con la massima intensità.
Su questo, anzi, i due autori hanno sentito l'obbligo di soffermarsi, non fosse
altro perché "più di un secolo di propaganda marxista ha lasciato le sue
tracce inquinanti anche su non poca pastorale cristiana".
Ripercorrendo le vicende evangeliche, la vita di Gesù e di coloro che gli
furono vicini (fisicamente e spiritualmente) Messori mostra che fra di loro vi
erano ricchi e poveri, senza alcuna distinzione. I primi non venivano condannati
in quanto tali, anzi; spesso è stato solo grazie alla loro benevolenza che il
cristianesimo ha potuto emergere e consolidarsi. La ricchezza è, come tutte le
cose terrene, uno strumento di cui gli uomini dispongono e che può dunque
essere usato per compiere il bene o per fare il male. "Beati [sono] coloro
- egli scrive - che possono avere anche beni ma che ne sono distaccati, non
ripongono in essi la loro fiducia. Nella prospettiva religiosa, non inquinata da
categorie politiche moderne, vero miserabile è il peccatore, colui che meno è
ricco di una Grazia divina che, per giunta, nemmeno desidera e cerca". Ma
il fedele è sempre ricco di questa Grazia, e il fatto che disponga o no di beni
materiali nulla conta al fine di un giudizio che spetta solo a Dio. Anzi,
affermare che solo i poveri hanno "diritto" al Regno dei Cieli è una
forzatura illecita di coloro che "vorrebbero fare del Vangelo un manuale
del rivoluzionario o del sindacalista".
"Conversione" è un libro segnato da un impietoso realismo cristiano
proprio perché racconta le ricchezze e le miserie, in una parola la vita, di un
pover'uomo come tutti. Nasce da qui il suo essere scomodo: e c'è da scommettere
che farà storcere il naso a più d'uno. Farà arrabbiare i fanatici del
laicismo e del suo dio secolare e bastardo: lo Stato, quello che ha tolto le
ostie dai tabernacoli per mettervi le flebo, che ha sostituito alla confessione
le sedute psichiatriche e alla tonaca del sacerdote il camice bianco del medico.
Ma scatenerà pure l'ira dei fautori di un cattolicesimo buonista,
"dialogante", fariseo, dimentico dell'impossibilità di subordinare
una astratta "etica cristiana" al messaggio salvifico della Croce. Lo
scopo dichiarato del volume è aiutare coloro che cercano la fede. E se anche
uno solo riuscisse a vedere Dio grazie alle parole, semplici e scandalose, di
Messori e Mondadori, questi avrebbero pienamente vinto la propria sfida con il
mondo.
29 marzo 2002
tratto da Ideazione.com