Sabato
10 Marzo, in quel di Lecco, si è tenuto un convegno per celebrare il
bicentenario dalla nascita di un grande uomo, oltre che di un grande pensatore
dell’Ottocento, Bastiat appunto. Nell’aula magna del nuovissimo ospedale A.
Manzoni si è infatti dibattuto sul tema “Fede, mercato e società”, parole
queste che riassumono brevemente il pensiero di questo coraggioso “apostolo
della libertà individuale”.
Alla
tavola rotonda hanno partecipato i prof. Ricossa, Lottieri, Bramoulle, il
presidente del “Liberal Institut” di Zurigo, R. Nef, il governatore della
Lombardia Formigoni, Ronza, editorialista de “il Giornale” e infine il prof.
Martino; tutto sotto l’abile regia di Alberto Mingardi, editorialista di
“Libero”, e con la generosa partecipazione anche finanziaria della Compagnia
delle Opere e dell’Unione dei Commercianti Lecchesi.
Bastiat,
“chi era costui?” si chiederanno in molti; ai più, infatti, il suo nome non
suona familiare, ma, si sa, in Italia quelli che hanno il tempo di leggere sono
di sinistra, spesso si tratta di quelle presenze oziose e inutili che affollano
gli uffici pubblici; gli altri, i comuni cittadini, lavorano, producono
benessere per mantenere i propri aguzzini, e alla sera non hanno più la forza
di prendere in mano un libro.
Bastiat,
uomo di provincia, li conosceva bene questi ultimi, ed era dalla loro parte.
“Lo stato è la grande finzione attraverso la quale tutti si sforzano di
vivere sulle spalle degli altri” diceva. Egli, verso la metà
dell’Ottocento, comincia la sua battaglia contro i socialisti, le loro
tendenze ugualitaristiche, il loro “costruttivismo” per dirla alla von Hayek.
Si scaglia contro la “comunità legale”, per indicare un ordine giuridico
che pretende, attraverso lo strumento oppressivo della legge, di unire gli
individui contro la loro volontà in strutture anonime, burocratiche,
coercitive. Per lui non è lo stato che crea la comunità, non è la legge che
costituisce i diritti. Bastiat è un giusnaturalista, è per gli ordini
spontanei che si formano nel tempo grazie alla interazione e alla volontà delle
persone. L’uomo, fin dai tempi più remoti, è proprietario, anzi nasce
proprietario. La proprietà non deve essere giustificata, è lì, è evidente:
l’uomo ha dei bisogni da soddisfare, e per farlo si approria di quello che la
natura gli mette a disposizione. Separarlo da ciò che è diventato suo vuol
dire ucciderlo. Dunque, “non è perché ci sono le leggi che ci sono le
proprietà, ma è perché ci sono le proprietà che ci sono le leggi”: per
garantirle e tutelarle, gli uomini possono decidere di fondare delle
istituzioni.
Bastiat
si scaglia quindi contro lo stato sociale, che pretende di imporre fraternità e
solidarietà per legge: lo descrive come immorale e dannoso. Immorale perché
tenta di sostituire la mano invisibile di Dio con qualcosa di artificiale ed
autoritario, dannoso perché cancella la responsabilità individuale; tutti, a
causa dell’interventismo statale, saranno portati a pensare che sia qualcun
altro (lo stato, appunto) a dover fare qualcosa per i più deboli, annientando
così il senso di carità verso il prossimo.
Ecco
allora che Bastiat si pronuncia a favore di uno Stato minimo che non tenti di
spoliare gli individui delle loro proprietà, ma che si adoperi soltanto per
proteggerle.
“Laissez
faire” è la sua ricetta. Egli è convinto che gli uomini sappiano meglio di
qualunque legislatore ciò che vogliono e come ottenerlo; basta lasciarli fare,
lasciali liberi di interagire tra di loro. Le leggi economiche sono leggi di
natura e quindi di Dio. Chi, come lo stato, attraverso regolamenti o prelievi
fiscali, intralcia il naturale
funzionamento del mercato, distorcendo così l’armonia delle sue leggi,
ostacola il disegno divino. Per Bastiat, l’etica “si compie” nel libero
mercato.
Ecco
perchè “liberista di Dio” (come lo definisce il prof. Ricossa): raccoglie
in poche parole il pensiero di un grande economista, politico, filosofo. Ma,
prima di tutto, un uomo di buon senso, merce oggi assai rara.