vorrei complimentarmi per la vostra rivista, che spesso acquisto e leggo con estremo interesse. Personalmente mi ha sempre affascinato la teoria dell’anarchismo, soprattutto nella sua versione individualista, sulla quale sto svolgendo alcune ricerche.
Mi rendo conto che questa forma di anarchismo è sempre stata minoritaria (almeno in Europa) rispetto all’anarco-socialismo, tuttavia, nelle considerazioni che seguono, vorrei mettere in luce alcuni caratteri di maggior coerenza dottrinale, e anche di maggior realismo, propri della prima rispetto alla seconda.
Spero così di contribuire, con la massima pacatezza, al dibattito teorico, cercando di rendere anche a voi anarchici collettivisti un po’ meno "indigesto" l’anarchismo individualista, soprattutto nelle sue versioni moderne, denominate più propriamente anarco-liberismo o anarco-capitalismo. Ho notato infatti, con rammarico, che la vostra attenzione per l’anarco-capitalismo e per i libertarians americani è molto scarsa, e nei rari casi in cui queste posizioni vengono prese in considerazione, i giudizi sono sempre estremamente negativi. Eppure le radici di questa corrente culturale si ricollegano direttamente, oltre che ai classici autori liberisti, alla tradizione anarco-individualista americana ottocentesca di Josiah Warren, Lysander Spooner, Benjamin Tucker; inoltre, nelle opere dei libertarians statunitensi, riecheggia spesso quello stesso afflato libertario presente in certe straordinarie pagine antistataliste di Proudhon, di Godwin o di Bakunin.
Nel breve saggio che segue vorrei quindi brevemente riassumere i punti fondamentali della dottrina anarco-capitalista, per poi svolgere un confronto su quei punti di dissidio con l’anarchismo comunistico classico.
L’anarco-capitalismo, che negli Stati Uniti ha raggiunto livelli notevoli di elaborazione teorica grazie soprattutto a studiosi come Murray Rothbard e David Friedman, si pone, ad un tempo, come negatore assoluto dello Stato e come strenuo sostenitore della proprietà privata e del libero mercato.
In ciò possiamo trovare una netta differenza rispetto ad altre forme di anarchismo individualistico, quali quelle illegalistiche stirneriane, nietzschiane o stile banda Bonnot, che non riconoscono la libertà e la proprietà privata altrui, e che giustificano quindi in qualche modo l’attentato o l’esproprio violento. Al contrario, per gli anarchici-liberisti, gli uomini nascono con dei diritti assoluti sulla propria persona, sui frutti del proprio lavoro e su tutto ciò che si ottiene, senza violenza e senza frode, per contratto e dono. Nessun altro uomo o gruppo di uomini, quand’anche rappresentassero la maggioranza, può permettersi di violare questi diritti naturali. Partendo da queste premesse, gli anarchici-capitalisti individuano nello Stato il principale violatore di questi diritti, e affermano che esso nella sostanza in nulla si differenzia da una organizzazione criminale, essendo tenuto in piedi da un sistema di tasse che altro non sono se non una forma legalizzata di estorsione o di furto.
Per gli anarco-capitalisti lo Stato rappresenta la più vasta e importante associazione per delinquere di tutti i tempi, molto più efficiente e pericolosa di qualsiasi altra mafia della Storia; non vi è infatti ombra di dubbio che il male e i danni arrecati ai cittadini dalle bande criminali private è qualcosa di irrilevante, se lo si confronta con gli orrori provocati dalle classi politiche e governanti: genocidi, bagni di sangue, guerre, crisi economiche, confische, schiavitù, carestie, distruzioni massiccie. Lo Stato, spiega Rothbard, è solo un’organizzazione di individui che hanno concordato tra loro di farsi chiamare in questo modo, allo scopo di esercitare sugli altri il monopolio legale della violenza e della estorsione dei fondi. Costoro sono gli unici individui della nostra società che si procurano le entrate non perchè qualcuno li paghi volontariamente per i loro servigi, ma con la costrizione, ovverosia con la minaccia della prigione o della fucilazione.
Se un privato viene da me e mi dice: "Ti fornisco certi servizi, che tu li voglia o meno, e quindi mi devi pagare", parliamo di un tentativo di estorsione - osserva David Friedman - ma se un governo si comporta allo stesso modo, allora parliamo di tassazione. Da un punto di vista etico, non vedo alcuna differenza tra i due casi. O li accettiamo entrambi o li respingiamo. Per questo, nessun governo oggi esistente, compresi quelli democratici, può essere considerato legittimo, dato che un’azione criminale non cessa di essere tale solo perchè una maggioranza l’approva o la condanna.
Tutte le ideologie sorte fino ad ora hanno tuttavia cercato di dimostrare il contrario. Il compito di spiegare che i delitti commessi dagli individui sono esecrabili, mentre quelli identici commessi su larga scala dallo Stato sono giusti, è stato svolto, dalle epoche più antiche fino ad oggi, dagli intellettuali pagati dallo Stato che, nel corso dei secoli, nella loro veste via via di sacerdoti, ideologi, scienziati, ecc. si sono dedicati con zelo a convincere le popolazioni che le depredazioni e le violenze dello Stato sono necessarie e benefiche per la società e che quindi vanno perdonate. I pretesti e le ideologie possono cambiare, ma il contenuto del messaggio è sempre stato questo. Tutte le ideologie comparse finora, da quelle teocratiche a quelle imperialiste, nazionaliste, comuniste, socialiste o democratiche, sono state varianti di grado, ma non di principio, di questo comune modello di tirannia statalista, che sacrifica l’individuo ad una qualche entità superiore, in base al principio che il Bene è ciò che è bene per la società ( o la razza, o la nazione, o la classe, o la maggioranza ), e gli editti governativi ne sono la manifestazione indubitabile.
Invece che da una struttura burocratica monopolistica e coercitiva, tutte le funzioni oggi esercitate dallo Stato, comprese l’istruzione, la cura dei malati, la costruzione di strade, la battitura delle monete, l’assistenza ai poveri, e perfino le funzioni poliziesche e giudiziarie, possono essere svolte in maniera infinitamente più morale ed efficiente da agenzie private in concorrenza tra loro, mediante contratti volontari stipulati con gli utenti e i consumatori, fatti osservare da tribunali privati di arbitrato in un libero mercato.
In una società siffatta, dunque, non esiste una sfera pubblica, non esiste la politica, non è ammessa la coercizione. Tutti i rapporti tra gli individui sono fondati esclusivamente su base contrattuale e volontaria.
Nella società ideale non vi sarebbero più regolamenti, servizio di leva obbligatorio, sicurezza sociale, polizia statale, ragion di stato - spiega David Friedman - tutte le funzioni attualmente devolute all’apparato coercitivo dello Stato sarebbero esercitate da un insieme di comunità e imprese private che offrirebbero i loro servizi su una base contrattuale (sempre revocabile) nel quadro di un sistema di concorrenza generalizzata tale da garantire a ognuno la libertà di scelta...Chi volesse aiutare il suo prossimo lo farebbe, ma ricorrendo a organizzazioni contrattuali e volontarie, e non a superstrutture arbitrarie ed autoritarie...Chi volesse vivere secondo una concezione "virtuosa" della società sarebbe libero di farlo associandosi con altre persone d’accordo con lui, ma senza per questo imporre la sua concezione a chi avesse un’idea diversa della morale umana...Nessuno, infine, avrebbe il diritto di costringere chicchessia a fare o pensare qualche cosa, anche in nome di principi "democratici" che spesso non sono altro che la negazione della libertà delle minoranze....
Aggiunge Rothbard:
Noi rifiutiamo definitivamente l’idea che la gente abbia bisogno di un tutore che la protegga da sè stessa e che le dica ciò che è bene e ciò che è male. In una società libertaria niente vieterebbe la droga, il gioco d’azzardo, la pornografia, la prostituzione, le deviazioni sessuali, tutte attività che non costituiscono delle aggressioni violente nei confronti degli altri. A differenza di altre correnti di pensiero, siano esse di sinistra o di destra, noi rifiutiamo di riconoscere allo Stato il diritto legale di fare ciò che verrebbe considerato illegale, immorale o criminale se fatto da qualcun altro. Le tasse, il servizio militare, la guerra...sono forme intollerabili di violenza con cui alcuni gruppi privilegiati impongono agli altri la loro concezione del mondo. Ciò che noi difendiamo è il diritto inalienabile e fondamentale di ciascuno alla protezione da ogni forma di aggressione esterna, provenga essa da individui privati o dallo Stato.
Queste citazioni dovrebbero dimostrare sufficientemente l’ingenerosità della accuse rivolte dagli anarchici di sinistra agli anarchici liberisti di essere reazionari o "poco preoccupati di altre libertà che non siano quelle del capitalismo".
A ben guardare poi, l’anarco-capitalismo si rivela, sotto un certo punto di vista, più coerente dell’anarchismo collettivistico. Sappiamo che il liberalismo classico sosteneva lo Stato minimo, cioè assente nel suo lato strutturale (l’economia) e presente nel suo aspetto sovrastrutturale (la polizia, la giustizia). Lo Stato guardiano-notturno ideato dai liberali del secolo scorso si sarebbe dovuto limitare alla protezione delle persone e delle proprietà degli individui senza intervenire nella sfera economica. Anche l’anarchismo comunistico classico, in fin dei conti, propugna una sorta di Stato minimo, sorprendentemente invertito rispetto allo stato liberale ottocentesco, e cioè assente dal lato sovrastrutturale, ma presente nella sfera strutturale. Nell’anarco-comunismo lo "Stato" (o comunque una qualche autorità collettiva) si astiene dall’esercitare funzioni poliziesche o giudiziarie, ma amministra le ricchezze della collettività. Solo l’anarco-capitalismo, con la massima coerenza, esclude qualsiasi intervento di governo sia a livello strutturale che sovrastrutturale. E’ vero che gli anarco-comunisti potrebbero obiettare che le agenzie di protezione della società anarchico-capitalista svolgono di fatto funzioni "statali". Vi sono però differenze sostanziali tra queste agenzie e il governo, in quanto esse non svolgono tale funzione monopolisticamente, nè hanno alcuna legittimazione a finanziarsi coercitivamente: esse si limitano a tutelare la persona e i beni di coloro che contrattualmente ne desiderano diventare clienti.
Ad ogni modo, lo scoglio teorico che l’anarchismo collettivistico non è ancora riuscito del tutto a superare è il seguente: in assenza di proprietà privata, dove dunque tutto appartiene a tutti, in che modo si decide sui criteri di amministrazione e distribuzione delle risorse comuni, se si rifiuta la regolamentazione di una qualche autorità pubblica? Le strade possibili sono due: la prima si basa sulla teoria, alquanto irrealistica e ingenua, dell’uomo naturaliter buono, una volta cambiate le istituzioni repressive sociali: in una società di questo tipo, si dice, gli uomini fraternamente e spontaneamente si dividerebbero i beni con equità e senza alcuna coazione.
In verità ipotesi di anarchia collettivista le possiamo ritrovare anche oggi in talune situazioni tipiche riguardanti la proprietà dei mari, dei fiumi, dei laghi, dell’atmosfera, delle spiagge, di alcune specie di animali in via di estinzione. Tutti questi beni si caratterizzano per l’assenza di diritti di proprietà privati su di essi e per la loro appartenenza alla collettività nel suo complesso. Posto che la regolamentazione statale risulta di fatto inesistente, inapplicabile o inapplicata, questi beni si trovano in uno stato giuridico di comunismo anarchico, in quanto tutti ne possono usufruire a piacimento, ma il risultato è totalmente e drammaticamente inefficiente.
Questi beni collettivi sono inquinati proprio perchè, essendo di tutti, nessuno ha interesse a sforzarsi per mantenerli puliti e in ordine. Il fatto che i mari appartengano a tutti spiega il progressivo spopolamento ittico: nessun pescatore ha interesse ad autolimitarsi nella quantità pescata, a fare investimenti di ripopolazione, o a dedicarsi a colture idriche, perchè non è detto che sarà lui a beneficiare di tali sforzi. La razzia rapida e indiscriminata, compiuta prima del sopraggiungere di altri pescatori, rappresenta inevitabilmente, in una situazione di comunismo anarchico dei mari, la condotta più razionale. Il comportamento dei pescatori diverrebbe molto più responsabile e socialmente benefico se ad essi fossero attribuiti, similmente ai contadini e agli allevatori, diritti di proprietà su determinate aree marittime o su determinati branchi di pesci. La sorveglianza dei proprietari costituirebbe anche un ottimo deterrente contro il disastroso inquinamento delle acque provocato, ad esempio, dalle petroliere (si è mai vista una fabbrica scaricare impunemente i propri rifiuti in un giardino o in un terreno privato altrui ?). Nei confronti degli oceani oggi ci troviamo nella stessa situazione in cui si trovava l’Uomo di Neandhertal rispetto al suo territorio: non abbiamo ancora compiuto la rivoluzione neolitica, quella che sostituì, ad un sistema economico preistorico basato sulla caccia e sulla raccolta dei frutti spontanei, altamente inefficiente e devastante per l’ambiente circostante, un sistema molto più civilizzato fondato sull’allevamento e l’agricoltura.
Le medesime conclusioni valgono per la scomparsa di altre specie animali: rischiano l’estinzione tutte e solo quelle specie animali di proprietà pubblica, massacrate dai bracconieri. Al contrario, bovini e suini non si estingueranno mai, malgrado l’altissimo consumo delle loro carni, perchè gli allevatori proprietari hanno tutto l’interesse a mantenere inalterato il valore futuro del proprio capitale. La diversa sorte capitata durante il secolo scorso negli Stati Uniti alle vacche (in proprietà privata) e ai bisonti (di proprietà collettiva), oggi pressoché scomparsi, dovrebbe essere d’esempio. Si può ricordare un altro caso significativo, meno noto ma più recente: mentre in Kenya gli elefanti, protetti nelle riserve statali, stanno oramai estinguendosi, nello Zimbabwe, dove si è scelto di attribuirli in proprietà alle tribù, il loro numero è notevolmente aumentato. In breve, è inquinato e va in rovina ciò che è di tutti, mentre i beni che appartengono a qualcuno vengono curati, migliorati e incrementati nel loro valore.
Rifiutando aprioristicamente la proprietà privata, la seconda via che gli anarchici collettivisti possono proporre per venire a capo e risolvere queste "tragedie dei beni collettivi", è quella di attribuire un potere di regolamentazione delle risorse ad una qualche autorità pubblica. Tuttavia, se queste decisioni non sono prese all’unanimità, occorrerà decidere a maggioranza, ed ecco ricomparire il Leviatano statale.
Le contraddizioni in cui si dibatte il pensiero anarchico-collettivista sono ben rese in un brano del romanzo "The Anarchists" del famoso anarchico John Henry MacKay, dove un’anarchico individualista insiste con un anarchico comunista perchè risponda a questa domanda:
Nel sistema sociale che tu chiami "libero comunismo", impediresti a individui di scambiarsi il loro lavoro mediante il loro mezzo di scambio? E inoltre: impediresti loro di occupare la terra per uso personale?
Il romanzo continua:
Non era possibile aggirare il problema. Se avesse risposto "Sì", avrebbe ammesso che la società ha diritto al controllo sull’individuo e avrebbe buttato a mare l’autonomia dell’individuo da lui sempre difesa con zelo; se, d’altro canto, avesse risposto "No!" avrebbe ammesso il diritto alla proprietà privata che aveva appena confutato con tanta enfasi... Allora rispose: "Nell’anarchia ogni gruppo di persone deve avere diritto di formare un’associazione volontaria, e di attuare così nella pratica le sue idee. E non posso neppure capire come uno possa essere secondo giustizia scacciato dalla terra e dalla casa che usa e occupa...ogni uomo serio deve dichiararsi: per il socialismo, e quindi per la forza e contro la libertà, o per l’anarchia, e quindi per la libertà e contro la forza".
Gli anarchici che rifiutano questo dilemma ricadono inevitabilmente, come si è detto, nella teoria dell’uomo buono per natura. E qui l’anarchismo-liberista sembra segnare un’altro punto rispetto a quello comunista, non solo sotto il profilo della coerenza, per le ragioni sopraesposte, ma anche sotto quello del realismo, perchè per funzionare non pretende alcuna modifica della natura umana, non vuole creare l’uomo nuovo, com’è nella logica del gulag, e basa tutta la sua analisi sul paradigma scientifico, e non romantico, dell’ homo oeconomicus, essenzialmente egoistico e razionale.
Gli anarchici socialisti dovrebbero quindi ripensare il proprio atteggiamento di condanna nei confronti della proprietà privata, riconoscendo il valore liberatorio per l’individuo del libero mercato, entro il quale noi esprimiamo la maggior parte delle nostre azioni e opzioni esistenziali quotidiane veramente autonome, cioè sottratte a controlli esterni. Libero mercato significa infatti sovranità degli individui in quanto consumatori. In un plebiscito ripetuto ogni giorno, dove ogni soldo dà diritto ad un voto, i consumatori decidono chi deve possedere e gestire le fabbriche, i negozi, le fattorie. Nel libero mercato la ricchezza può essere acquisita in un solo modo: servendo nel miglior modo possibile e a minor costo i bisogni della gente. Coloro che soddisfano i bisogni di un numero maggiore di persone ricevono più voti-denaro-di coloro che soddisfano il bisogno di un minor numero di persone. I capitalisti perdono immediatamente il loro denaro se lo investono in quelle attività che non soddisfano le esigenze del pubblico. Solo nel libero mercato dunque il controllo dei mezzi materiali di produzione è soggetto al controllo sociale, cioè alla conferma o alla revoca da parte dei consumatori, nel cui giudizio sono assolutamente sovrani. Rifiutare il libero mercato significa dunque espropriare i consumatori di questo immenso potere di direzione della produzione, per conferirlo ad una qualche altra autorità, magari composta dai produttori stessi, i quali lo eserciterebbero discrezionalmente, prescindendo dai nostri gusti, dalle nostre preferenze, dalle nostre scelte (col rischio di ritrovarsi in un sistema pianificato simile a quello sovietico, nel quale i consumatori erano poco più che inermi supplici di fronte a produttori indifferenti non per cattiveria, ma perchè privi di qualsiasi incentivo economico ad assecondare le domande degli acquirenti).
Inutile aggiungere che, con tutta probabilità, in una società anarco-capitalista la povertà costituirebbe un problema molto minore di quanto non lo sia adesso, dato che lo sviluppo economico, non più frenato dalle intromissioni e dalle regolamentazioni governative, diverrebbe travolgente. Inoltre i sentimenti di solidarietà e aiuto reciproco si rivalutaterebbero e tornerebbero ad acquisire il loro autentico valore morale di scelte volontarie e personali. Oggi, dove l’assistenza è affidata a strutture burocratiche corrotte, inefficienti e impersonali, la nostra reazione davanti alla povertà è quella di dire "Perchè lo Stato non interviene ?". Nella società veramente libera immaginata dagli anarchici liberisti non sarà più possibile lavarsi la coscienza in questo modo, nè si potrà imputare al "sistema" la causa di ogni problema: occorrerebbe invece agire direttamente, associandosi con altri uomini che abbiano intenti uguali ai nostri, senza poter delegare la soluzione dei problemi ad una qualche "macchina" esterna e coercitiva.
Nella società ideale anarchico-capitalista, si badi bene, il rispetto del principio di base della concorrenza sul mercato non implica nessuna imposizione e nessuna scelta a priori sul tipo di società (capitalistica, socialista, mutualistica, autogestionaria, comunista, religiosa...) da edificare: l’importante è creare una struttura di fondo in cui chiunque, sia capitalista, socialista, sostenitore del sistema mutualistico, autogestito, comunista, o religioso abbia la possibilità di sviluppare il suo modello in concorrenza con quello degli altri, senza costringere però nessuno a vivere in un tipo di società non desiderato. E la base di tutto ciò non può che essere il principio della libertà contrattuale e della proprietà privata, come già aveva riconosciuto, con la tipica onestà intellettuale che lo contraddistingueva, un grande socialista anarchico come Proudhon, il quale aveva rivisto le proprie idee sulla proprietà privata, riconoscendone l’indissolubile nesso con la libertà individuale:
Servire da contrappeso al potere publico, bilanciare lo Stato e in questo modo assicurare la libertà individuale: tale sarà, dunque, nel sistema politico la funzione principale della proprietà. Sopprimete questa funzione...imponetele (alla proprietà) condizioni e dichiaratela non cedibile e non divisibile: subito essa perde ogni sua forza e non conta più nulla; essa diventa un semplice beneficio: un possesso precario, una dipendenza dello Stato senza possibilità di azioni contrarie.
Sono questi gli interrogativi che gli anarchici-collettivisti, ai quali si deve riconoscere la correttezza delle loro critiche al totalitarismo statolatrico della dottrina marxista, non hanno sufficientemente approfondito. Un confronto con gli anarchici-capitalisti non potrà che essere fruttuoso.