Waco: fu strage di stato
Carlo Stagnaro
Il 19 aprile 1993, otto anni fa tondi tondi, fu una giornata normale per decine di milioni di persone in tutto il mondo. Sveglia e caffè, barba e bidet, direbbe Fantozzi, svelti che perdo il tram. Ci sono però 76 individui per cui quella data ha significato molto. E ormai non significa più nulla. Perché sono sottoterra. Morti. Brutalmente divorati dalle fiamme nella loro dimora di Mount Carmel, nei pressi della cittadina di Waco, Texas. Un tranquillo paesotto di provincia, dove non succede mai nulla. Tranne quel maledetto giorno.
Era l’alba, e i tanti emuli di Paolo Villaggio si recavano al lavoro. Occhi smorti, cravatta lenta e giacca impolverata. Se il cartellin devo timbrar, lo timbrerò (uacciuadiuadi), proseguiva la canzoncina dell’impiegato più famoso d’Italia. Per quelle quasi 80 persone, invece, l’alba ebbe un altro sapore. Erano reduci da 51 giorni di assedio da parte dell’FBI e del BATF (Bureau of Alcohol, Tobacco and Firearms). Su di loro pendevano svariate accuse, tra cui quelle di possesso illegale di armi, traffici di droga e molestie ai bambini. (In realtà sarebbe emerso in seguito il carattere strumentale e la palese infondatezza di queste ultime due imputazioni.)
La comunità in questione era quella dei Davidiani, un bizzarro gruppo di persone dalle bislacche idee religiose. Tutti seguivano come cagnolini le parole del “messia peccatore” (così lo definì un quotidiano locale) David Koresh, al secolo Vernon Wayne Howell, fancazzista per lavoro, profeta per diletto e visionario per passione. Le agenzie federali americane li avevano presi in antipatia. Il loro culto era guardato con indifferenza da tutti, anche se non dava fastidio a nessuno. La popolarità del presidente americano Bill Clinton non era certo all’apice. I piedipiatti di Washington dovevano dimostrare quanto erano bravi e supermegafighi – il dibattito sul loro budget era alle porte. Insomma, due più due fa quattro: mostrare i muscoli faceva comodo un po’ a tutti, e i Davidiani parevano un ottimo bersaglio.
Chi fece i conti, però, si dimenticò dell’oste, e quella che doveva essere una tranquilla operazione per ottenere visibilità si tramutò ben presto in un incubo per l’America intera. Il 28 febbraio si svolse un raid ai danni dei seguaci di Koresh. Questi ultimi, contrariamente a quanto i cervelloni del BATF avevano previsto, tentarono la resistenza. Cominciò l’assedio, e – attraverso varie peripezie e il sostanziale fallimento della trattative – si giunse al 19 aprile. Erano le sei del mattino quando i Davidiani, tra cui molte donne e bambini, udirono un gran bordello, spari, grida, esplosioni. Un fumo puzzolente entrò in casa loro: i federali avevano avuto la brillante idea di gasarli, così da spingerli a uscire. Adolf Hitler avrebbe apportato una sola modifica a tale brillante piano: non avrebbe trascurato di sprangar le porte.
Da lì in avanti, comunque, non si capisce più chi fa cosa. Trascorrono lente e tesissime ore fino a quando, ed è circa l’ora di pranzo, i Davidiani vengono cotti alla fiamma. Sì, perché improvvisamente scoppia un incendio che divora l’intero edificio. Uomini come spiedini, altro che McDonald’s, quella è roba da principianti. Quasi nessuno riesce a porsi in salvo. Suicidio di massa, si disse, e il caso venne archiviato.
Poi, nonostante la massiccia cortina fumogena innalzata dal governo federale (Janet Reno, l’allora procuratore generale, e Bill Clinton in testa) un manipolo di studiosi cominciò a indagare, sostenuto dal favore e dall’interesse del pubblico. Emerse che forse quella del suicidio non era l’ipotesi più sensata. Forse fu un incidente. C’è chi dice una “soluzione finale” adottata dall’FBI per mettere a tacere persone che erano a conoscenza delle troppe illegalità perpetrate nel corso dell’assedio.
Il vero problema, però, non è come la tragedia si concluse: ma piuttosto come ebbe inizio. E’ lì che emergono le spaventose contraddizioni entro cui si dibattono gli Stati Uniti d’America, tesi tra un’ispirazione ideale verso l’individualismo e la libertà e la smania dei politici di controllare, regolamentare, punire. E il “pregiudizio fatale” di molti cittadini di quella “Land of Freedom”, convinti della perfezione del proprio sistema politico.
L’America, in verità, è bruciata a Waco: ciò che è rimasto è solo la sua perversione. Quegli Stati Uniti che, ha affermato qualcuno, sono il peggior nemico della Statua della Libertà. Ormai da quel tragico giorno sono passati tanti anni. E’ cambiato pure il Presidente, e il caso (o la Provvidenza) ha voluto che nello Studio ovale posasse le chiappe proprio un texano.
L’America, e ancor più il Texas, si aspetta molto da “Dubya”. Sono in tanti a sperare che il nostro abbia il coraggio di tirar fuori gli scheletri dagli armadi. Per rendere giustizia non solo ai martiri di Waco, ma anche e soprattutto al cadavere dei diritti civili. Gli scettici non mancano.
Se Bush Jr. saprà rispondere alla richiesta che sale dall’America profonda, darà una speranza anche agli Europei. Forse la Nazione a stelle e strisce potrà ancora essere quella “lampada che brilla sulla riva occidentale” di cui parlava Henry Clay. Certo è che negli ultimi anni la luce si è molto affievolita, e non sarà semplice riportarla all’antico splendore.
(tratto dal quotidiano l'"Opinione") Aprile 2001
Carlo Stagnaro è l’autore del libro Waco. Una strage di stato americana (Viterbo: Stampa Alternativa, 2001).