Blair, il grande sogno

Oggi sveliamo un segreto. Ma è un segreto di pulcinella, ce l’avete sotto gli occhi, basta un po’ di immaginazione per agguantarlo. Tony Blair ha un sogno: sogna di ricucire il grande strappo, di riportare indietro l’orologio, di tornare a cavallo della storia. Il rais di Downing Street non lo dice ma ci spera, contempla silenzioso la sua utopia: Inghilterra e Stati Uniti, di nuovo insieme, come un tempo.

Riecheggiano le parole di Winston Churchill, che vagheggiava una più stretta sorellanza fra Usa e Regno Unito: “se stiamo assieme, nulla è impossibile, ma se siamo divisi falliremo tutti”. “Credo che inglesi e americani possano muoversi liberamente dal paese degli uni a quello degli altri senza alcuna percezione di essersi stranieri”. “Il dono di una lingua comune è un’eredità senza prezzo, e un giorno potrà diventare la base di una comune cittadinanza”

Blair sta faticosamente provando a passare dalle parole ai fatti. S’è rivelato il migliore allievo del maestro. Lui, non la superba (in tutti i sensi) Margaret Thatcher, troppo grande per rimpicciolirsi in un qualsiasi paragone. Eppoi Maggie era altera, orgogliosa, così inglese. Si cambiava d’abito tre volte al giorno, racconta la leggenda, per cinguettare con Ronald Reagan: ma era un minuetto squisitamente personale, c’era assonanza, c’era scambio. E anche dibattito, rabbia, incomprensioni: come durante la guerra della Falklands, come in una miriade d’occasioni. Unica, spigolosa, vera - Maggie era un’altra Inghilterra.

Tony Blair è un personaggio diverso, è l’ottusangolo delle stanze dei bottoni. S’infila in ogni buco, flirta con chi può - lo dipingono come una Thatcher rosé, ma le somiglia poco. Lei era un’insulare, con la fierezza di una solitudine scelta e vissuta. Certi inglesi sono come i sardi: guardano al “continente” con un cristallino disprezzo, e non so voi, ma io non mi sento di dargli torto.

Blair invece è assatanato dalla brama di evadere quest’insularità scomoda, cerca un appiglio, vuole tenere un piede in Europa e l’altro in America, parla con Berlusconi e scatta sull’attenti se lo chiama Bush, è qualcosa di più che sensibilità diplomatica.

Due anni fa s’intravvedeva un disegno diverso. I colloqui a Firenze, le strette di mano con Prodi e con Clinton, con Schroeder e con D’Alema. L’ulivo mondiale e la terza via planetaria.

Era tutto un bluff. La terza via è fallita persino in Inghilterra, perché la terza via non esiste: o di qua o di là. L’ulivo è sfiorito.

E adesso Blair cala l’asso. A dire il vero, a calarlo è stato Gordon Brown, cancelliere dello scacchiere, qualche mese fa. Brown, giusto per rintuzzare le armate antiglobal di Genova, ha abbozzato: e se, non alternativamente ma assieme al mercato unico europeo, immaginassimo un mercato unico atlantico? Merci e persone che volano fra Londra e New York senza bisogno di esibire un passaporto, frontiere aperte fra l’ex signora dei mari e la sua ex colonia, l’orgoglio di sentirsi tutt’uno.

Intanto resta il dilemma dell’ingresso nell’euro, che Blair ha rilanciato a sorpresa, ma gli inglesi nicchiano. Il 70% della popolazione vuole tenersi stretta la sterlina. Brown è stato abile finora a procrastinare il referendum sulla moneta unica: potrebbe rivelarsi una pericolosa occasione di riscossa per i conservatori, adesso che hanno un nuovo leader, Iain Duncan Smith, che dell’antieuropeismo ha fatto una bandiera.

Ma le decisioni politiche non si possono rimandare all’infinito. A un certo punto bisogna pagare il conto. Blair vuole la botte piena e la moglie ubriaca, accarezza il sogno di un’Inghilterra finalmente europea, ma sa che gli inglesi non s’accontenteranno mai di essere un’ingranaggio qualsiasi della macchina infernale di Bruxelles. E allora bisogna farli diventare la mosca cocchiera, bisogna riagguantare le redini della storia: in Europa, ma legati a doppio filo con gli States, immaginando un futuro assieme.

Eccolo qui il disegno di Blair, che è come quello di Churchill. Scelto il fine, bisogna inventarsi i mezzi. Tony segue il maestro.

Churchill sapeva che il modo migliore per cementare l’alleanza fra due popoli è, letteralmente, mischiarne il sangue. Così Blair brama di vedere sanguinare assieme soldati americani e inglesi sul fronte afghano, finalmente uniti in una militaristica fratellanza.

Non sono solo questioni di lealtà quelle che lo legano a George W. Bush, e ne fanno lo sparring partner preferito dell’America. E’ che, con il premier inglese che spinge, “DoppioV” può permettersi di frenare.

Allora vale la pena di chiedersi “di chi è questa guerra”. L’ha fatto Pat Buchanan, la voce profonda della destra americana, sulle pagine di Usa Today. Il riferimento era al dualismo Colin Powell - Richard Perle. Perle è il capo del “Defense Policy Group”, e svolge consulenze essenziali alla Casa Bianca. Ed è l’antagonista per eccellenza di Powell: quanto l’ex generale tenta appassionatamente di costruire una grande coalizione per la lotta al terrorismo, Perle cerca di insinuare nell’orecchio del presidente il sospetto che sia meglio agire da soli, o con gli inglesi, e di accantonare i progetti più prudenti per puntare su un’invasione di massa dell’Afghanistan. Sono le due anime di Washington.

C’è un parallelo sullo scacchiere internazionale: Bush si fa interprete della dottrina Powell, mentre Blair si trova appaiato agli ultrà del neoconservatorismo americano. Quest’inedita alleanza è confermata dalle scelte di Downing Street in fatto di politica interna.

Se ieri Ann Coulter, un’editorialista del “National Review” (il Panorama della destra a stelle scrisce) è stata licenziata per aver scritto che “dobbiamo invadere i paesi islamici e convertirli alla cristianità”, il socialistissimo Blair naviga in quelle stesse acque. Grazie al suo “Terrorism Act”, chiunque sia sospettato di supportare i Mujahideen in Kashmir, Palestina o Chechenya potrà essere arrestato dal governo inglese (tanti slauti all’habeas corpus). La stessa comunità islamica si sente sotto tiro, mentre Downing Stret continua a stuzzicare Whitehouse sull’ipotesi di una guerra a tutto campo.

Paradossalmente, è stato il “falco” Duncan Smith a portare un ramoscello d’ulivo. Seguendo l’esempio di Bush, il leader dei conservatori ha espresso la sua solidarietà ai musulmani londinesi, e celebrato l’Islam come “fede pacifica”. Che dire? Il mondo è davvero cambiato.

 

Alberto Mingardi